La storia e' delle piu' agghiaccianti e misteriose, molte trasmissioni televisive ne hanno parlato ed anche il noto programma "Mistero" dedichera' un po' di spazio a questo castello mediovale che si pensa popolato dallo spirito di un ragazzo morto molto giovane!!
Circondato da colli ameni ed uliveti, il piccolo e tranquillo borgo medievale di Fumone si offre al viaggiatore tutto arroccato attorno al suo castello, in un pittoresco amalgama grigio tra le abitazioni ed il fortilizio, da cui spuntano eleganti cipressi. Eretta tra il IX ed il X secolo, la Rocca Longhi De-Paolis è famosa non soltanto per essere stata la prigione di Celestino V, nonché il luogo della sua morte, ma anche per ospitare uno straordinario giardino pensile, che, con i suoi 800 m s. l. m., è il più alto d’Europa ed è da sempre conosciuto come “la terrazza della Ciociaria”: da qui, in un passato abbastanza recente, quando le città e le strade di pianura non producevano come oggi un inquinamento eccessivo, lo sguardo poteva abbracciare l’intera provincia di Frosinone, mentre nelle giornate più terse comparivano a Nord la Cupola di San Pietro e a Sud la vetta del Vesuvio e le sue epocali eruzioni.
Il toponimo “Fumone”, del resto, deriverebbe indirettamente dalla sua stessa posizione somma ed isolata. Distante circa 80 km da Roma, l’Arx Fumonis fu sin dall’Alto Medioevo un’imprendibile fortezza (respinse, tra gli altri, anche gli assedi degli imperatori Federico Barbarossa ed Enrico VI), un baluardo formidabile conteso tra le maggiori famiglie nobiliari laziali. Passata poi alla Chiesa, la rocca assolse a lungo e in maniera straordinaria la funzione di controllo del territorio meridionale dello Stato Pontificio. Alla vista dei nemici, infatti, dal culmine di un’alta torre (oggi scomparsa) si levava un’enorme colonna di fumo: essa avviava un sistema di segnalazioni simili a catena, che coinvolgeva paesi limitrofi come Rocca di Cave, Castel San Pietro, Paliano, Lariano, Serrone e Castro dei Volsci, e che giungeva infine alle mura capitoline, avvertendo così la “città eterna” dell’imminente pericolo. Nella zona si diffuse il celebre detto: “Quando Fumone fuma tutta la campagna trema”.
Da diversi anni aperto alle visite, il Castello Longhi de Paolis compare ormai puntualmente in tutte le guide turistiche. Prima di arrivare a Fumone, tuttavia, forse non tutti i visitatori sanno che questa rocca dall’aspetto austero permetterà loro una delle passeggiate più inquietanti ed insolite del Lazio.
Un insediamento dalle origini oscure
Le origini di Fumone sono tutt’altro che chiare. Si pensa ad un antichissimo insediamento ernico, come testimonierebbero i numerosi reperti ritrovati nelle campagne ed ora conservati nel museo comunale. A nostro parere, inoltre, non è da escludere che il sito ove oggi sorge il paese fosse utilizzato in epoca pre-romana come tempio dedicato alle divinità telluriche, come suggerisce la posizione solitaria e panoramica. Non a caso, infatti, da qui sono ben visibili le vicine Alatri, Anagni, Ferentino e Veroli, cittadine che conservano reperti, a volte eccezionali (è il caso di Alatri), del remoto passato ernico ed in cui sono presenti, su chiese e edifici privati, numerosi simboli riconducibili al recupero medievale di tali culti tellurici, come ad esempio la “Triplice Cinta” o il “Centro Sacro”. Un’ipotesi, questa, che potrebbe essere meglio sorretta da un eventuale ritrovamento, anche a Fumone, di simboli collegabili così diffusi in quasi tutte le “città megalitiche” degli ernici, almeno in quelle, cioè, il cui patrimonio edilizio e tessuto urbano originari non siano stati troppo alterati nel tempo.
Leggende e orrori
Da sempre il Castello di Fumone è custode di segreti, arcani e memorie drammatiche. Sede fin dall’XI secolo di una piccola prigione della Chiesa, la rocca nel Medioevo era tristemente nota per le condizioni disumane in cui versavano i detenuti e per le torture che vi si praticavano. Di solito essere condannato alla prigionia a Fumone equivaleva ad essere condannato alla morte più atroce. Losche immagini venivano tramandate di questo luogo dalle origini oscure: secondo alcuni studiosi, infatti, il toponimo “Fumone” non deriverebbe, come viceversa prima accennato, dalla colonna di fumo che si sprigionava dal maniero, bensì dalle nubi grigio-nere che una tradizione popolare vuole si addensassero misteriosamente e costantemente su di esso.
Il Pozzo delle Vergini
Ad ogni modo, la visita al castello pare confermare tali premesse non certo confortanti. Appena entrati nel castello, dopo un’iniziale breve ma ripida rampa di scale, il visitatore ha già la sensazione di essere fuori dal tempo. Le luci soffuse, il rosso delle pareti, il silenzio creano da subito un’atmosfera tetra e angosciante che sfocia nel primo ricordo tragico conservato all’interno dell’edificio: il “Pozzo delle Vergini”. In origine probabilmente situato all’aperto, questo pozzetto stretto e profondissimo è storicamente legato alla pratica dello Jus primae noctis, diffusa nel Medioevo nei borghi di campagna e rivendicata a Fumone da uno degli antichi proprietari del castello: come è noto, sulla base di questo diritto, le donne appena spostate dovevano giacere la loro prima notte di nozze con il signore del posto; e, quel che più contava, dovevano giungervi vergini, pena la morte o qualche orripilante tortura. A Fumone il castigo previsto per le inadempienti era veramente perentorio: le povere disgraziate che erano scoperte “impure” dal loro “nobile” aguzzino venivano immediatamente e senza pietà gettate nel suddetto pozzo, al fondo di cui – pare - svettassero lame affilate: nella nera cavità le loro urla risuonavano fortissime per poi svanire in una quiete demoniaca. Oggi, affacciandosi all’orlo della cavità, posta in un cantuccio, accanto al ciglio di una scalinata, si possono provare sensazioni di pietà miste a ripugnanza.
L'antipapa Gregorio VIII
Nella rocca e’ tuttora sepolto, dopo otto secoli, l’”antipapa” francese Gregorio VIII. Si chiamava Maurizio Bordino e fu opposto man mano ai pontefici Pasquale II, Gelasio II e Callisto II. Da quest’ultimo fu definitivamente sconfitto e poi condotto come prigioniero, nel 1124, alla Rocca di Fumone, dove avrebbe atteso il trapasso nell’indifferenza dei più.
La tragica vicenda del "Marchesino" e le presenze spettrali del castello
La visita continua di sala in sala, tra affreschi, arazzi, eleganti arredi e svariate opere d’arte, mentre l’accompagnatore narra di monaci murati vivi chissà dove nel castello e mostra toccanti iscrizioni amorose d’epoca romana. Ad un certo punto si giunge all’archivio, dove, tra importanti ed antichi documenti, riposa, un po’ defilata, in un angolo, una piccola credenza. Al suo interno è celato il ricordo di una vicenda tra le più spaventose del castello. La guida infatti inizia a raccontare la triste e macabra storia del “marchesino”, avvenuta nel XIX secolo. Ultimo fratello dopo sette sorelle, il piccolo Francesco Longhi, quale primo figlio maschio, avrebbe bb pomezia avuto in eredità tutti i beni di famiglia. La tradizione vuole che le perfide sorelle, invidiose e per nulla intenzionate a perdere le proprie ricchezze (magari finendo suore contro la propria volontà o spose di qualche uomo indesiderato) decisero quindi che l’odiato fratellino doveva perire. Lo uccisero giorno dopo giorno, in maniera torbida ed ambigua, senza lasciare tracce, mettendo cioè quotidianamente nella sua scodella minuscoli pezzetti di vetro. In breve tempo comparirono i primi dolori che divennero via via più atroci, sino a trasformarsi in una lenta e terrificante agonia: morì alla tenera età di cinque anni. La madre, allora, straziata dal dolore causato dalla perdita di quel figlio tanto atteso ed amato, ordinò, disperata e delirante, che le sue spoglie fossero “imbalsamate” con la cera e poste in una teca di cristallo, cosicché se ne potesse eternarne la memoria. E così è stato. Aperto lo sportello del mobiletto, l’impressionante salma viene offerta alla vista, allo stupore e al raccapriccio degli astanti, mentre i tanti quadretti che ritraggono lo sguardo triste del fanciullo sembrano osservarli. Tutt’ora non è chiaro il metodo usato per la mummificazione: il dottore morì subito dopo il lavoro in circostanze oscure.
Secondo una leggenda nota agli abitanti di Fumone, il castello sarebbe infestato dal fantasma di Emilia Caetani Longhi: sembra che ogni notte ella, con passo inquieto e riecheggiante, si rechi a trovare il figlioletto, lo prenda in braccio ed inizi a dondolarlo tra nenie e lamenti. Ma pare che anche lo stesso “marchesino” non abbia abbandonato il castello, e che il suo spirito dispettoso si diletti a nascondere o spostare piccoli oggetti. Inoltre, come se non bastasse, saltuariamente dai sotterranei si udirebbero le urla e i gemiti degli spettri dei prigionieri dei sotterranei, la cui anima, dopo la tormentata esperienza terrena, non trovò mai riposo.
La prigionia e la morte di Celestino V
Il castello di Fumone è celebre anche per la vicenda della prigionia e della morte di Celestino V, il papa che «per viltade», secondo Dante, aveva fatto «il gran rifiuto», rinunciando il 13 dicembre 1295 alla tiara. Come è noto, vi fu nascostamente rinchiuso dal suo successore, il giurista Benedetto Caetani, appena salito al soglio pontificio col nome di Bonifacio VIII, sebbene le motivazioni della segregazione siano tuttora oscure. Nella rocca - all’epoca carcere della Chiesa - lo accolse un’angusta e fredda celletta: ancor oggi, guardandola, si prova un senso di repulsione per la sorte del povero prigioniero. Accanto alla cella è una piccola cappella (conserva reliquie, ex-voto ed un’iscrizione a ricordo della visita di Paolo VI al castello nel 1966) che i Longhi eressero nel Settecento in onore del Santo, il quale, peraltro, era stato benefattore del loro lontano antenato. Celestino si spense il 19 maggio 1296, dopo lunghi mesi di torture, stenti e malattie. Passarono alcuni secoli, però, finché fosse reso noto che il suo teschio era forato: si pensò allora che era stato orrendamente assassinato con un chiodo nel cranio, forse per mano di Roffredo Caetani, nipote di Bonifacio VIII. Le cronache del tempo raccontano che poche ore prima della morte di Celestino V si verificò nel castello di Fumone uno straordinario prodigio, che fu interpretato come il presagio della morte del santo: apparve infatti una croce splendente, che rimase sospesa in aria innanzi alla porta della cella ove egli era rinchiuso. Successivamente, nel corso del processo di canonizzazione di Celestino ordinato da Clemente V nel 1313, a testimoniare il prodigio sarebbero accorsi in molti, tra i quali i due cavalieri, originari di Ferentino, che lo tenevano in custodia. Era l’estremo tentativo di riparare ai torti subiti da questo grande papa, la cui vita, per molti versi, rimane avvolta nel mistero.
La salita al giardino pensile
a visita del castello termina sul magnifico e vasto giardino pensile all’italiana, ricavato in età moderna dalla ristrutturazione del cammino di ronda e dall’abbattimento di alcune torri. Qui il visitatore può ammirare alberi secolari che una leggenda vuole siano la trasformazione di antichi amanti, mentre la guida invita tutti i visitatori, o almeno gli scaramantici, a toccare la pietra sommitale degli 800 mt, gesto che la tradizione ritiene porti fortuna. Intanto lo sguardo spazia sul paesaggio circostante, riposando l’animo turbato da una visita non certo allegra e riscattando il castello delle tante crudeltà ed orrori di cui fu testimone.