Fino a che punto la giustizia di un paese trova giusto condannare a morte una persona che uccide altre persone o commette reati contro la legge che giustifica la morte? Amnesty International si oppone incondizionatamente alla pena di morte, ritenendola una punizione crudele, disumana e degradante ormai superata, abolita nella legge o nella pratica (de facto), da più della metà dei paesi nel mondo. La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione. Ci sono persone che invece sono daccordo sulla pena capitale per un immediata liberazione dal mondo di un soggetto che potrebbe ripetere determinate azioni contro persone innocenti.
Nel 1977, quando Amnesty International partecipò alla Conferenza internazionale sulla pena di morte a Stoccolma, i paesi abolizionisti erano appena 16. Oggi, più di due terzi dei paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica. Un numero di abolizionisti, 140, che ha ampiamente superato quello dei mantenitori, che sono 58.
Ci sono molte soluzioni che possono essere adottate per punire senza pena di morte le persone, affinchè comprendano fino alla morte naturale cosa abbiano commesso contro altre persone e forniscano testimonianza che tali atti non devono essere ripetuti proprio per il diritto alla vita che tanto si nomina e che le leggi non difendono, ma giustificano e non proteggono se non in ritardo. La tendenza mondiale verso l'abolizione della pena di morte ha conosciuto negli anni '90 una decisa accelerazione, sostenuta dai principali organi internazionali come la Commissione sui diritti umani dell'Onu. Nel 2007, nel 2008 e nel 2010, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede una moratoria sulle esecuzioni e impegna il Segretario generale dell'Onu a riferirne l'effettiva implementazione e a riportare tale verifica nelle successive sessioni dell'Assemblea. Tali risoluzioni, sebbene non vincolanti, portano con sé un considerevole peso politico e morale e costituiscono uno strumento efficace nel persuadere i paesi ad abbandonare l'uso della pena di morte.
Dal 1990, 56 paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati. Alla fine di novembre 2011, il parlamento lettone ha abolito la pena di morte per i crimini eccezionali, diventando così, alla data del 1° gennaio 2012, il 97° paese al mondo a essere abolizionista per tutti i reati. L'11 ottobre 2011 l'Honduras è diventato il 12° stato parte del Protocollo alla Convenzione americana sui diritti umani per l'abolizione della pena di morte. Il 27 gennaio 2012, anche la Repubblica Dominicana ha ratificato il Protocollo.
Il 10 ottobre 2012 ricorre il decimo anniversario della Giornata mondiale contro la pena di morte che costituisce un importante momento in cui tutto il movimento abolizionista rifletterà sui successi ottenuti e sui passi ancora da compiere.
Il 2012, inoltre, è l'anno in cui verrà presentata la quarta risoluzione per una moratoria sulle esecuzioni alla 67a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. L'obiettivo di Amnesty International è di aumentare il numero dei paesi promotori della risoluzione e di portare al cambiamento del voto, da contrario ad astenuto o favorevole e da astenuto a favorevole, alcuni determinati paesi per i quali esiste questa concreta possibilità.
Ultima batosta arriva dall' Arabia Saudita, secondo quanto rivela l’Observer, il domenicale del Guardian, sarebbero oltre 45 i lavoratori stranieri nel paese condannati a morte. L’inquietante cifra è emersa dopo il caso della decapitazione nel Paese di una domestica cingalese di 24 anni, Rizana Nafeek, originaria di una famiglia molto povera del villaggio di Mutur distretto orientale di Trincomalee. Rizana era arrivata in Arabia saudita nel 2005, a soli 17 anni con passaporto falso per lavorare come cameriera. Il bambino del suo datore di lavoro è morto mentre lei prestava servizio. Rizana è stata accusata di omicidio e condannata a morte con un processo-farsa, basato su una confessione firmata senza che ne conoscesse il contenuto, perché scritto in arabo, lingua a lei sconosciuta. Nel 2007 è arrivata la condanna a morte.
I numerosi appelli alla clemenza e la mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale rispetto all’episodio nulla ha potuto contro la determinazione delle autorità saudite di eseguire la condanna a morte.
Secondo gruppi per la difesa dei diritti umani, il numero esatto tra l’altro pressoché impossibile da ottenere dei lavoratori stranieri, domestici soprattutto, condannati a morte è senza dubbio più alto. Si segnalano in particolare 45 donne indonesiane che rischiano una sentenza a morte, con cinque di loro per le quali l’esecuzione della sentenza potrebbe essere imminente.
Per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, le leggi in Arabia saudita sono molto al di sotto di ogni norma di legalità e procedura investigativa universalmente accettate e nei processi, non vengono rispettate alcune garanzie di trasparenza. Per tali ragioni lo “Sportello dei Diritti”lancia un grido di allarme contro l’ondata di esecuzioni e chiede un urgente intervento della Comunità Internazionale e di tutti coloro che hanno la facoltà di agire contro tali crimini.
"Il 21 dicembre scorso in Cina sono state eseguite sei condanne a morte: Zeng Si-ru, Hung Ming-tsung, Huang Hsien-cheng, Chen Chin-huo, Kuang Te-chiang Te e Tai-ying sono stati spediti all'altro mondo, con il classico colpo alla nuca e nel cuore, in tre diversi penitenziari del Paese. E questo nonostante la volontà più volte proclamata dalle autorità locali di porre fine a questa pratica. Stupisce il quasi assoluto silenzio della stampa italiana e delle sue principali testate di fronte a questo nuovo atto di barbarie e inciviltà perpetrato da uno Stato che, nonostante i successi economici, ancora presenta seri problemi nel rapportarsi con i diritti umani. La spiegazione di questo silenzio è una sola: i Paesi democratici dell'Occidente, e l'Italia tra questi, hanno sacrificato da ormai troppo tempo i loro principi e valori di libertà sull'altare della convenienza economica e dell'utilità politica. Stupisce che in Italia ci siano ancora intellettuali e giornalisti che sostengono e difendono un sistema politico responsabile di tali atti e che non rinuncia, nonostante i proclami di riforma, ad una politica interna autoritaria. Gli stessi intellettuali e giornalisti, ancora legati a ideologie criminali e defunte, sempre pronti, invece, ad alzare il dito solo e soltanto contro gli Stati Uniti.
E' giusto tutto questo?In migliaia di casi, la gente in determinati casi come uno stupro o un atto di pedofilia, è pronta a linciare delle persone, le stesse persone che vantano il diritto alla vita che vuole essere un atto lodevole per non diventare dei mostri. La pena di morte è sempre un dibattito aperto ancora oggi, allo stesso modo era anni addietro. Qualcosa cambia a livello di sensibilizzazione, ma finchè le leggi internazionali non mettano una decisa stretta sulle persone che commettono atti abominevoli su chiunque voglia, determinate scelte in determinati paesi, verranno prese in opposizione alla vita.