La parola “ariano” è di origine sanscrita (“Arya”) e, sostanzialmente, ha un significato molto prossimo a quello del termine occidentale “nobile”. Già questo basterebbe: essere ariano potrebbe essere, al più, una questione di stirpe, di casta o di ordine sociale ma non una questione di razza. Alcuni nuclei indo-iranici, come è chiaramente attestato sia nei RigVeda che in alcuni testi zorohastriani, utilizzarono questo termine per auto-definirsi, in una esaltazione nazionale tipica di aree e periodi in cui, nella pianure dell’Asia centrale, il contatto tra clan etno-antropologicamente dissimili era all’ordine del giorno e la possibilità di inglobamento reciproco tra questi clan faceva nascere la necessità di una chiusura auto-identificativa verso l’altro, semplicemente come metro di paragone e di identità interna (non diversamente rispetto all’uso, in questo caso etero-identificativo, del temine “BarBar” da parte degli antichi greci). Paradossalmente e solo a mo’ di provocazione, questo dato di origine ci induce a pensare che se mai dovessimo trovare (e sarebbe comunque una forzatura estrema del termine) una popolazione a cui attribuire oggi, in occidente, il titolo di “razza ariana”, questa sarebbe probabilmente quella, indo-iranica e nomadica, dei “Roma” (cioè di quelli che, comunemente e genericamente, chiamiamo “zingari”), che, in una tragica ironia storica, venne decimata proprio in nome della “purezza razziale ariana” da chi, al contrario, riteneva “ariani” i portatori di caratteristiche somatiche di origine slavo-sarmatica (e perseguitava anche gli “slavi di altri ceppi”…).
Ma, ci si può chiedere oggi, come si è giunti ad un errore tanto marchiano? Come è possibile che storici e antropologi siano arrivati ad una così incredibile deformazione della realtà? La risposta a questa domanda sta in una serie impressionante di incredibili coincidenze, approssimazioni e fraintendimenti culturali.Negli anni tra le due guerre mondiali molti studiosi cominciarono a sostenere che per spiegare una quantità di convergenze e di corrispondenze di simboli, dati antropologici e filologici, ecc., è necessario ammettere l'esistenza di una razza nordico primordiale, che verso l'Età della Pietra dalle regioni artiche si sarebbe spostata verso il sud, dando luogo alle forme più alte di una civilizzazione di tipo cosmico-solare in netta contrapposizione con le cività preistoriche "meridionali" caratterizzate dai culti della grande madre.
Secondo questi studiosi sarebbe esistita una dimora polare, patria primitiva della razza nordica, che aveva sviluppato una sorta di civiltà da "Età dell'Oro" (corrisponderebbe, secondo le ultime ricerche, ad un periodo interglaciale "caldo" collocabile tra il 40.000 ed il 28.000 a.C.). Si noti che la stessa definizione scientifica di "Era Glaciale" è " Era geologica in cui le calotte polari sono coperte da ghiacci". Ciò lascia supporre che nelle ere interglaciali le calotte polari fossero totalmente o parzialmente libere da ghiacci.
Secondo lo studioso tedesco Herman Felix Wirth (membro come Himmler della società segreta Ahnenerbe), una grande quantità di dati geologici, climatici e botanici veramente impressionanti dimostravano come allora, tra i 70 e gli 80 gradi di latitudine Nord, vi era una temperatura media annua paragonabile ad un clima temperato (sui 10 gradi centigradi, contro i 20 sotto zero attuali a quelle latitudini) e che questo territorio aveva incluso anche l'Islanda, la Groenlandia e le Isole Spitzbergen.
Era L'Atlantide polare, Thule, la sacra dimora della prima umanità. Umanità che quindi, secondo Wirth, era nata in un periodo "Terziario", molto prima dell'arrivo di una fortissima glaciazione (dal 28.000 a.C. - ultima fase del Wurm) che aveva di conseguenza costretto gli abitanti di questo Eden Polare a migrare verso Sud, per costituire più tardi l'Atlantide platoniana che tutti conosciamo (dal 15.000 al 9.000 circa a.C.).
La fine del Wurm, l'innalzamento repentino dei mari, insieme con altre catastrofi naturali (il Diluvio Universale) aveva costretto i superstiti dell'Atlantide ariana ad una diaspora in Europa, Asia, Africa nordoccidentale ed America.
Nel XIX secolo, dal momento che le più antiche lingue indo-europee conosciute erano di derivazione indo-iranica, si iniziò ad utilizzare il termine “ariano” in forma estensiva, per riferirsi a tutto il ceppo etno-linguistico che includeva Greci, Romani e Germani e, poco più tardi, riconoscendo le chiare affinità radicali dei rispettivi idiomi, anche Baltici, Celti, Slavi e Armeni. Tutti questi popoli, che in effetti derivano da un macro gruppo linguistico oggi chiamato “proto-indo-europeo”, di cui fa parte anche l’iranico, dunque, semplicemente per brevità vennero definiti “ariani”.
Probabilmente il primo ad usare il termine “razza ariana” nel senso oggi ad esso attribuito fu, nel 1861, Max Müller nel suo Lectures on the Science of Language, in cui, compiendo un grave errore, si riferiva agli Ariani non come ad un gruppo linguistico ma come ad una razza, anche se, in numerosi scritti successivi, si corresse, arrivando persino ad affermare: “Devo ripetere ancora una volta che sarebbe erroneo parlare di un sangue ariano esattamente come lo sarebbe parlare di una grammatica dolicocefala…”.
Queste specificazioni erano diventate una necessità a causa dell’insorgere e dello svilupparsi, verso la fine del secolo, della cosiddetta “antropologia razziale”, influenzata dal pensiero di Arthur de Gobineau, che riteneva che gli Indo-Europei rappresentassero un ramo superiore dell’umanità, ma, purtroppo, rimasero inascoltate.
Numerosi scrittori successivi, infatti, cominciarono a sviluppare l’assurda idea dell’esistenza di una razza superiore identificabile in termini biologici. Paradigmatico in questo senso è lo studio dell’antropologo francese Vacher de Lapouge che, nel suo L’Ariano, sosteneva che l’indice cefalico potesse ritenersi un metro valido per la tassonomizzazione delle razze e che, di conseguenza, la tipologia fisica “dolicocefalico-bionda”, tipica del nord Europa, fosse da ritenere superiore e destinata a dominare sulle popolazioni “brachicefale”.
Ben presto la politica si impadronì di queste argomentazioni pseudo-scientifiche e cominciò a costruire un intero castello di congetture tra le quali spiccano per assurdità quelle riguardanti le razze nordiche (che, in realtà, lo si ripete, hanno radici slavo-sarmatiche) come rappresentanti della purezza ariana e quelle, al limite del risibile (non fosse per le conseguenze che portarono), su una presunta origine degli Ariani nell’area germanica e scandinava, portate avanti con particolare convinzione dall’archeologo Gustaf Kossinna, certo che i Proto-Indo-Europei fossero da identificare con le popolazioni del neolitico germanico.
Ovviamente, studiosi di ben maggior spessore contestarono immediatamente queste astruse elucubrazioni: già nel 1885 Rudolf Vierchow e Josef Kollmann dimostrarono, al Congresso della Società Antropologica di Karlsruhe, come ogni europeo fosse necessariamente il prodotto dell’unione di più razze e come l’indice cefalico non avesse nessuna relazione con le capacità psico-fisiche di una popolazione, ma le loro parole caddero largamente inascoltate.
Sia negli ambienti scientifici che, forse ancora più pericolosamente, nell’immaginario popolare, si stava, infatti, sempre più diffondendo l’idea, promossa dal best seller di fine ’800 I fondamenti del diciannovesimo secolo di Houston Stewart Chamberlain, di una superiorità germanica, a dispetto del fatto che personaggi del calibro di Otto Schrader, Rudolph von Jhering e Robert Hartmann proponessero addirittura di bandire la parola “ariano” dall’antropologia.
Certamente l’imperialismo colonialista diede un forte impulso alla diffusione delle idee razziste. Non è un caso, infatti, che proprio nell’Impero Britannico si cominciassero ad elaborare teorie in grado di penetrare nell’immaginario socio-religioso delle caste indiane: in particolare, si tentò di far passare come scientifica l’ipotesi che gli inglesi fossero discendenti di quegli Arii bianchi che avevano invaso e sottomesso le popolazioni Dravidiche di pelle scura, spingendole verso il sud dell’India ed instaurando il sistema delle caste superiori. Sfortunatamente, persino alcuni nazionalisti indiani (forse per mostrare un loro possibile “apparentamento” con i dominatori) accettarono e diffusero queste assurdità.
Probabilmente proprio da questa diffusione di teorie razziste in India attinse il movimento forse più direttamente responsabile delle terrificanti conseguenze che le ideologie pseudo-scientifiche sulla razza ebbero nel XX secolo: il Movimento Teosofico di Helena Blavatsky e Henry Olcott, che, per sua espressa ammissione, traeva ispirazione dalla “cultura della riforma Hindu” (“Arya Samaj”) di Swami Dayananda.
Madame Blavatsky, una sensitiva (o, più probabilmente, una ciarlatana) di origine ucraina (ma operante tra Londra e New York) che ebbe un impressionante seguito tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, era convinta che l’umanità fosse discesa da una serie di sette “razze primigenie”: la quinta razza era, appunto quella degli Ariani, che ella riteneva essere derivata direttamente dagli Atlantidei.
Fin qui potremmo tranquillamente parlare della follia (o della furbizia) di una mente malata (o di un’abile truffatrice). Purtroppo, però, la Blavatsky costruì su questo assunto di base alcuni corollari a dir poco raccapriccianti: ogni razza non-ariana era inferiore alla razza ariana e, soprattutto, le popolazioni semite erano solo una escrescenza spiritualmente corrotta e materializzata degli ariani, prodotta dal mescolamento di questi con popoli sub-umani o beluini. In futuro, ogni razza corrotta sarebbe stata annientata dalla razza superiore, per il ritorno dell’umanità all’età dell’oro… Sebbene molti ammiratori della “sensitiva” abbiano sempre affermato che la Blavatsky non intendesse sviluppare una teoria realmente razzista, purtroppo almeno un suo grande ammiratore e avido lettore dei suoi testi non la pensava così: un giovane austriaco dotato di grandi capacità oratorie di nome Adolf Hitler.
E non era il solo. Guido von List e molti suoi seguaci, come, ad esempio, Lanz von Liebenfels attinsero, poco più tardi, a piene mani alla fonte di Madame Blavatsky, mescolando concetti già al limite del delirio con la crescente ondata ideologica ultra-nazionalista e proto-fascista. Il risultato di questo inedito miscuglio di elucubrazioni prese il nome di Ariosofia e, sebbene poi sconfessato da parte della gerarchia hitleriana, fu certamente uno dei semi da cui germogliò il nazismo.
D’altra parte, la teoria della origine nordica degli Ariani aveva avuto, come ovvio, una grandissima influenza in Germania. Anche a livello popolare l’idea che gli “Ariani Vedici” fossero assimilabili a Goti, Vandali ed altre tribù germaniche era comunissima, così come lo era quella di una popolazione semita ben distinta da quella ariana e causa della distruzione dell’ordine sociale e dei valori culturali germanici. E’ da questo humus culturale che presero spunto le ricerche ariosofiche di Alfred Rosenberg (paradossalmente, a detta di molti, probabilmente etnicamente di origine semita, anche se ciò non è mai stato provato a causa dell’accurata opera di distruzione di documenti personali a cui l’interessato provvide dopo il 1933).
Secondo gli ariosofi come lui, quella ariana era la “razza padrona” che aveva costruito una civiltà che aveva dominato il mondo fin dai tempi di Atlantide. Il declino di tale civiltà aveva avuto inizio dopo l’8000 a.C. con la distruzione di Atlantide e la colonizzazione da parte di razze inferiori che erano riuscite a mescolarsi con gli ariani puri, dei quali, però, rimanevano tracce nel buddhismo tibetano, in Cento e Sud America e in Egitto. Tutte queste idee trovarono sistematizzazione e pseudo-scientifizzazione proprio con Rosemberg, che, nel suo Il Mito del Ventesimo Secolo, tracciò una storia dell’umanità sviluppata a partire da queste deliranti posizioni, ottenendo un notevolissimo successo nella Germania del primo dopoguerra.
Giungiamo così all’uso nazista del termine: “razza ariana”, secondo i futuri teorizzatori ed esecutori della “soluzione finale”, stava ad indicare la razza superiore nord-europea, che doveva essere mantenuta pura attraverso un programma di “eugenetica” (affidato a Rosenberg) che includesse il divieto di matrimoni “misti”, la sterilizzazione (e poi uccisione) dei malati di mente e la ghettizzazione, evacuazione e, dopo la conferenza di Wansee, eliminazione di tutte le razze “inferiori”.
Che tutto ciò derivasse, in ultima analisi, dalle idee balvatskiane e ariosofiche è innegabile e provato, tra l’altro, sia dal culto di Himmler, il pianificatore della Shoà, per il Bhagavad Gita vedico che dalle assolutamente inutili ricerche della “Ahnenerbe” sulla cultura tibetana, sulle tracce di prove, ovviamente mai trovate, di un legame tra popoli germanici e una razza che, storicamente, non esistette mai.Come è noto, il concetto di "Ariani" inteso come razza superiore ha portato nel secolo scorso allo sviluppo di ideologie razziste. Forse finora non è stato ben chiarito il concetto di "Razza dello Spirito".
Questo concetto, sviluppato sopratutto dallo studioso di Scienze Tradizionali Julius Evola si incentra sulla considerazione che gli Ariani avevano una "qualità psichica" superiore che permise loro di sviluppare concetti filosofici assai elevati completamente estranei alle popolazioni autoctone che nel corso dei secoli essi assoggettarono. Inoltre l'elite di questo gruppo aveva probabilmente sperimentato quella che nella Tradizione Induista e Buddista viene chiamata "Illuminazione" e tutte le grandi opere dei Veda e delle Upanishad erano un tentativo di trasmettere questa sapienza con le parole.
C'è poi il serio dubbio che gli Ariani erano depositari di conoscenze molto più antiche trasmesse loro da precedenti civiltà scomparse.