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Questi i principali eventi astronomici del mese di luglio 2014.
Questi i principali eventi astronomici del mese di luglio 2014.
L’astronauta italiana dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) Samantha Cristoforetti. Crediti ESA/NASA.
E’ stato presentato ieri presso la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana ASI durante una conferenza stampa Avamposto42, il nuovo sito web ufficiale della Missione Futura dell’astronauta italiana dell’Agenzia Spaziale Europea Samantha Cristoforetti.
Avamposto42 nasce da una collaborazione tra ESA, ASI e l’Aeronautica Militare, oltre ad altri partner tra cui l’Associazione Italiana per l’Astronautica e lo Spaziio (ISAA).
Samantha Cristoforetti, presenta Avamposto42 e racconta il valore della nutrizione nello spazio. Al momento sta seguendo gli ultimi mesi di addestramento per la sua prossima missione sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) prevista per il prossimo novembe 2014.
“Vorrei che sempre più persone posseggano le semplici conoscenze necessarie per fare scelte alimentari consapevoli, che permettano di godere della vita pienamente e a lungo” racconta Samantha Cristoforetti.” Allo stesso tempo vorrei che sempre più persone conoscessero la sfida dell’esplorazione spaziale, un affascinante viaggio collettivo dell’umanità per allargare le possibilità della nostra specie”.
Come racconta Antonio Pilello di Argotec, “La scelta dei nutrimenti utilizzati da Argotec nella preparazione del bonus food è anche stata fatta sulla base di criteri scientifici molto rigorosi, in modo da selezionare, tra gli ingredienti più sani e nutrienti, quelli maggiormente adatti per la salute e il piacere di Samantha. È molto importante mangiare in modo corretto sulla Terra, ma questo vale ancora di più in condizioni di microgravità”. Argotec è un’azienda di Torino, unica responsabile per il bonus food degli astronauti europei dell’ESA su contratto dell’ESA stessa e fornitore ufficiale di cibo per gli astronauti europei in missione sulla ISS per i quali realizza cibi su richiesta. Argotec ha sviluppato uno spazio di ricerca per lo studio nutrizionale del cibo dedicato agli astronauti, il cosiddetto Space Food Lab.
I cibi che vanno a bordo della ISS devono essere consegnati alla NASA almeno 18-24 mesi prima del lancio in modo che possano essere recapitati in anticipo a bodo della ISS prima dell’arrivo dell’equipaggio. E grazie ad Argotec, Lavazza e l’ASI con Samantha Cristoforetti andrà in orbita anche ISSspresso, il primo caffé espresso nello spazio.
Samantha Cristoforetti sperimenta l’assenza di gravità. Crediti: ESA/NASA. Fonte: Avamposto42.
In orbita attorno alla Terra non si è soggetti alla forza di gravità. La massa della Terra è molto più grande rispetto a tutto quello che le sta sopra, persone comprese. Di conseguenza, la forza di gravità terrestre domina e maschera quasi tutte le altre interazioni tra i corpi, quale per esempio l’azione gravitazionale che ognuno di noi esercita sulla Terra stessa, l’azione gravitazionale che noi esercitiamo su tutti gli altri oggetti (e persone) che ci stanno vicino.
Sulla Terra è facile capire che una bottiglia piena di acqua pesa di più di una bottiglia vuota o mezza vuota. Da quando siamo nati, abbiamo inziato a sperimentare la forza di gravità con le nostre cadute per terra, imparando a camminare, quando si fanno gesti molto semplici e abitudinari come quello di bere un bicchiere d’acqua.
“Il peso e quindi la forza di gravita’, influenza profondamente tutta la nostra vita quotidiana, persino nei dettagli” racconta Stefano Sandrelli dell’INAF-Osservatorio dei Brera e collaboratore ESA. “Quando siamo in piedi, per esempio, il sangue si trova in gran parte sotto il livello del cuore: se la circolazione deve funzionare, allora il muscolo cardiaco deve pompare con una forza sufficiente a vincere l’attrazione gravitazionale. Il nostro senso dell’equilibrio dipende dai movimenti degli otoliti, sassolini che si trovano nell’orecchio interno e che si muovono sotto l’azione della gravità: cambiate la gravità e il nostro sistema di orientamento naturale andrà del tutto in tilt. E questi non sono che due casi particolari”.
Ma perché andiamo lassù?
Come dice Paolo Nespoli, astronauta italiano dell’Agenzia Spaziale Europea che ha già trascorso sei mesi nello spazio, il motivo per cui si va nello spazio è perché lì vi sono condizioni che non si trovano sulla Terra, per cui si riesce a fare quello che non è possibile fare a Terra. “Cose che da un lato ci sono utili e dall’altro ci divertono” afferma. “Ci andiamo anche perché non possiamo fare a meno di farlo: l’avventura, il viaggio, la scoperta sono nella nostra natura”.
Samantha Cristoforetti è nata a Milano ma vissuta a Male’ in provincia di Trento, Samantha Cristoforetti e’ uno dei sei astronauti ESA classe 2009, gli Shenanigans. Si e’ laureata a Monaco in ingegneria meccanica con una specializzazione in propulsione spaziale e strutture leggere e, come parte dei suoi studi, ha frequentato sia l’ Ecole Nationale Supérieure de l’Aéronautique et de l’Espace di Tolosa in Francia sia per dieci mesi la Mendeleev University of Chemical Technologies a Mosca, durante i quali ha scritto la sua tesi di Master in propellenti solidi per razzi.
Sito web – Avamposto42: http://avamposto42.esa.int/
ESA-Agenzia Spaziale Europea: http://www.esa.int/ESA
Tutte le interviste sono tutte tratte dal sito Avamposto42; le interviste a Paolo Nespoli sono state ricavate da una presentazione pubblica organizzata dal Gruppo Astofili Salese, Santa Maria di Sala, Ve, durante la Mostra di Astronomia e Astronautica, marzo 2013. Vi suggerisco il suo libro “Dall’alto i problemi sembrano più piccoli”, edizioni Mondadori.
Sabrina
E’ stato scoperto un nuovo pianeta che potrebbe essere in grado di ospitare forme di vita, attorno ad una stella ‘vicina di casa’ del nostro Sole. La scoperta, pubblicata sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, e’ frutto del lavoro di un gruppo internazionale di ricerca guidato da astronomi della Queen Mary University di Londra ed e’ stata realizzata grazie a degli spettrometri situati in Cile e alle Hawaii.
A rendere tanto interessante il pianeta, chiamato Kapteyn-b, e’ il fatto che si trova alla distanza ideale dalla sua stella per avere acqua allo stato liquido: una caratteristica, questa, che lo includerebbe nella lista dei pianeti con possibili forme di vita. Il pianeta prende il nome dalla stella osservata all’inizio dell’800 dall’astronomo olandese Jacobus Kepteyn, una nana rossa distante ‘solo’ 13 anni luce dalla Terra e osservabile con un semplice telescopio amatoriale. Si trova nella parte meridionale della costellazione del Pittore e secondo i ricercatori, in origine apparteneva ad una galassia nana assorbita poi dalla Via Lattea.
Vorrei rendere soprattutto noto a voi che leggete, una determinata informazione:
In un secondo la luce compie sette volte il giro del globo terrestre!
Possiamo usare questo valore di 300.000 chilometri come misura di grandissime distanze. Lo chiameremo “secondo-luce”. La distanza tra la Terra e la Luna è di 1 milione di chilometri cioè 3,3 “secondi- luce”. La luce riflessa dalla Luna impiega circa 3 secondi e mezzo per arrivare sulla Terra. Il Sole si trova a 150 milioni di chilometri dalla Terra, la sua luce ci mette 8 minuti e mezzo a raggiungerci: si trova dunque a 8,3 “minuti-luce”. Per indicare le distanze astronomiche (di nome e di fatto !!) dei corpi celesti più lontani si utilizza “l’anno-luce”. Un anno-luce è la distanza che la luce percorre in un anno è dunque una misura di distanza (e non di tempo!). In un anno la luce percorre una distanza di 9460 miliardi di chilometri! Eppure l’ anno-luce, questa distanza che noi facciamo fatica a concepire, è piccola cosa rispetto alle dimensioni dell’Universo attorno a noi! Un parsec (talvolta usato ) corrisponde a 3,6 anni luce
1 anno-luce = 9460 miliardi di chilometri,
1 parsec = 340560 miliardi di chilometri
1 giorno-luce = 26 miliardi di chilometri,
1 ora-luce = 1,1 miliardi di chilometri,
1 minuto-luce = 18 milioni di chilometri,
1 secondo-luce = 300.000 chilometri.
La Luna si trova a 1 milione di Km = 3,3 secondi-luce
Il Sole si trova a 150 milioni di Km = 8,4 minuti-luce
La stella più vicina si trova a 40000 miliardi di Km = 4 anni-luce
Dimensioni della nostra galassia 1 miliardo di miliardi di Km = 100.000 anni-luce
Gli oggetti osservabili più lontani dell’ Universo si trovano a 10 miliardi anni-luce
“Trovare un sistema planetario stabile con un pianeta potenzialmente abitabile attorno ad una stella molto vicina e’ strabiliante” ha detto Pamela Arriagada, uno degli autori della ricerca. “Questo – ha aggiunto – e’ un altro elemento che prova che quasi tutte le stelle hanno pianeti, e che quelli potenzialmente abitabili nella nostra galassia, sono cosi’ comuni come i granelli di sabbia su una spiaggia“. Il pianeta Kapteyn-b ha una massa cinque volte maggiore rispetto alla Terra e compie un giro intorno alla sua stella ogni 48 giorni. Attorno alla stella ruota anche un secondo pianeta chiamato Kapteyn-c, molto piu’ massiccio della Terra, il quale compie un’orbita ogni 121 giorni. Secondo i ricercatori, pero’, la sua distanza e’ eccessiva e potrebbe essere troppo freddo per avere acqua liquida in superficie. Al momento pero’, dei pianeti definiti abitabili finora scoperti, solo alcuni hanno delle caratteristiche note. “Per capire con precisione se sono abitabili bisogna vedere anche se sono rocciosi“, ha spiegato Raffaele Gratton, dell’Osservatorio di Padova dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). “Questi pianeti – ha aggiunto – sono stati quasi tutti scoperti dalla sonda Kepler della Nasa, che ci ha trasmesso una valanga d’informazioni ancora da analizzare. Per avere delle prove concrete dovremo aspettare ancora qualche anno, quando sara’ operativo il futuro telescopio spaziale James Webb, il cui lancio e’ previsto per il 2018“.
Ma c'è un intrigo sulla strana storia del sistema Kapteyn. La stella originariamente apparteneva ad una galassia nana che la nostra Via Lattea alla fine ha assorbito e distrutto gettando Kapteyn e i suoi pianeti nell'alone galattico, la regione di spazio che circonda le galassie spirali. Tutto ciò che rimane di quella galassia nana è probabilmente Omega Centauri, un ammasso globulare a circa 16.000 anni luce di distanza che contiene molte migliaia di stelle antichissime. La nuova scoperta potrebbe espandere la ricerca di vita aliena in tutta la galassia e oltre.
Da Curiosity arrivano i primi indizi di possibili forme di vita su Marte: 65 specie di batteri, che però, ironia della sorte, il rover della Nasa si sarebbe eventualmente portato da casa.
Una foto di Marte coperto da ghiaccio d'acqua, e se 1+1 fa due....! |
Uno studio della University of Idaho, presentato durante il congresso annuale dell’American Society for Microbiology, ha infatti analizzato per la prima volta dei tamponi prelevati dalla struttura esterna del rover prima del lancio, svelando che diverse specie di batteri sono riuscite a sfuggire all’accurata sterilizzazione operata dai tecnici della Nasa. Secondo gli scienziati, molti dei 377 ceppi batterici identificati avrebbero potuto inoltre sopravvivere al viaggio della sonda nello spazio.
La maggior parte delle specie identificate appartengono infatti al genere Bacillus, batteri Gram-positivi capaci di sopravvivere anche in condizioni ambientali estreme. Nei loro laboratori, i ricercatori hanno sottoposto i microorganismi a stress come la disidratazione, esposizioni a raggi UV, freddo intenso e Ph estremi, per simulare le condizioni presenti nello spazio e sulla superficie di Marte. Nei loro test, quasi l’11% dei batteri è sopravvissuto ad almeno una delle prove.
“Quando abbiamo iniziato il nostro studio non si sapeva nulla dei batteri presenti sul Rover”, spiega sulle pagine di Nature
Stephanie Smith, ricercatrice della University of Idaho che ha coordinato lo studio. Fino ad oggi infatti, gli unici studi svolti per valutare i possibili “clandestini microbici” a bordo di Curiosity avevano analizzato le specie presenti nelle strutture in cui è stata assemblata la sonda, e nei meccanismi di lancio. Quello della University of Hidao è quindi il primo studio in cui è stato possibile analizzare i batteri effettivamente presenti su Curiosity.
I nuovi dati raccolti dal team di Smith verranno ora utilizzati dagli scienziati della Nasa per riconoscere eventuali batteri di origine terrestre nei campioni di suolo marziano raccolti da Curiosity, e per sviluppare procedure di sterilizzazione più efficienti. In futuro infatti, sarà importante evitare il rischio di contaminare i corpi celesti visitati dalle nostre sonde con microorganismi terrestri. “Non sappiamo ancora se si tratta di un pericolo reale – conclude Smith su Nature – ma nel dubbio, è importante prendere delle precauzioni”.
Fonte
I batteri della Terra potrebbero colonizzare la superficie di Marte. È quanto emerge da una nuova ricerca condotta a bordo della Stazione Spaziale Internazionale relativa alla colonizzazione batterica sul pianeta rosso e a come questa potrebbe conquistarlo prima dell'occupazione umana.
La ricerca è stata condotta da tre team che si sono concentrati sullo studio del modo più appropriato per evitare che i microbi dalla Terra possano attaccare e minacciare il pianeta rosso, magari giungendovi a bordo dei veicoli spaziali. È quasi impossibile, infatti, rimuovere gli agenti contaminanti dalle navicelle dirette verso altri pianeti. Grazie ad una migliore comprensione di come gli organismi possono sopravvivere nello spazio o sulla superficie di altri mondi, gli scienziati si sono prefissi di conoscere quali siano le forme di vita microscopica resistenti a questi viaggi. "Se si è in grado di ridurre il numero a livelli accettabili, l'ipotesi è che le forme di vita non sopravvivano in condizioni spaziali difficili", ha spiegato Kasthuri Venkateswaran, del Jet Propulsion Laboratory.
I ricercatori hanno affrontato il problema mediante esperimenti indipendenti. Il primo ha utilizzato un esperimento a bordo della Iss. In questo caso, il team ha proceduto ad esporre gli organismi noti per essere resistenti agli habitat terrestri a 18 mesi di vita nello spazio. "Si è constatato che alcuni (di questi) sono anche parzialmente resistenti all'ambiente ancor più ostile dello spazio esterno, compreso il vuoto, gli sbalzi di temperatura, l'intero spettro di radiazione elettromagnetica solare extraterrestre e le radiazioni ionizzanti cosmiche", hanno spiegato gli scienziati.
Un secondo gruppo, composto dai ricercatori del Centro Aerospaziale Tedesco, del California Institute of Technology e, infine, del Jet Propulsion Laboratory, ha esposto i batteri alle condizioni proibitive di vita dello spazio per circa un anno e mezzo. Per condurre tale esperimento, si sono avvalsi della European Technology Exposure Facility (EuTEF) presente sulla stazione spaziale. “Dopo 18 mesi di esposizione alle condizioni dello spazio e del buio, le spore hanno dimostrato di avere il 10/40 per cento di sopravvivenza, mentre è stato osservato un tasso di sopravvivenza dell'85/100 per cento quando queste spore sono state tenute a bordo della Iss in condizioni atmosferiche marziane”, ha riferito il team scientifico.
Quando i batteri del phylum Firmicute sono sotto stress, si è constatato come questi possano formare gusci di protezione, chiamati endospore. Tali rivestimenti proteggono gli organismi dai danni derivanti da condizioni ambientali estreme come la siccità. I biologi hanno cercato di capire se queste strutture possano proteggere i batteri dai processi di risanamento e dall'ambiente dello spazio.
Infine, un'equipe internazionale, nata dalla collaborazione tra Germania, Francia e Stati Uniti, ha sottoposto i batteri a condizioni simili a quelle attese nel caso si effettuasse un viaggio alla volta della superficie di Marte. È stato dunque dimostrato che solo la luce ultravioletta è efficace ad uccidere gli organismi. "Tutti gli altri parametri ambientali incontrati dal 'viaggio su Marte' o dal 'rimanere su Marte' hanno causato pochi danni alle spore, che mostravano oltre il 50 per cento di sopravvivenza. I dati dimostrano l'elevata probabilità di sopravvivenza delle spore nel caso di una missione su Marte, se protette dall'irraggiamento solare", hanno dichiarato i ricercatori.
Federica Vitale
http://www.nextme.it/scienza/universo/sistema-solare/7735-batteri-colonizzeranno-marte
Una crosta di basalto con un cuore di ferro. È Vesta, luminoso asteroide della fascia principale, la cui composizione ricorda per molti aspetti quella terrestre. Tanto da aver avuto in passato una caratteristica fondamentale in comune con il nostro pianeta: l’attività vulcanica.
La conferma arriva da uno studio appena pubblicato su Geophysical Research Letters, che dimostra la presenza di tracce magmatiche in uno dei crateri principali dell’asteroide, Teia.
Ma facciamo un passo indietro. Le prime ipotesi sul vulcanismo vestano risalgono alla fine degli anni ’90, quando furono analizzate per la prima volta le cosiddette meteoriti HED, strutture asteroidali appartenenti e tre gruppi diversi (howarditi, eucriti e diogeniti, da cui il nome). E provenienti proprio da Vesta: per questo la loro composizione, prevalentemente basaltica, ha fatto pensare che anche l’asteroide principale avesse un’alta percentuale di basalto. Tipica roccia di origine vulcanica: da qui la teoria dell’attività magmatica su Vesta.
Fu così che i ricercatori iniziarono a cercare strutture morfologiche che indicassero residui di colate di lava sui pendii scoscesi dell’asteroide: ma non trovarono nulla di tutto questo.
La missione Dawn della NASA partita nel 2007 è stata la prima sonda a toccare il suolo di Vesta, raggiunto nel luglio 2011. Le sue osservazioni hanno rilevato l’assenza di strutture attribuibili in modo inequivocabile ad attività vulcanica: un dato che ha fatto pensare alla breve durata del vulcanismo vestano, che quindi non ha lasciato tracce.
Restava però da trovare una prova che giustificasse il ritrovamento dei residui magmatici nelle meteoriti staccate da Vesta. Prova che è arrivata grazie a uno studio guidato da Maria Cristina De Sanctis dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF: a partire dagli stessi dati raccolti dalla missione Dawn, i ricercatori hanno trovato la tanto agognata traccia del passaggio di magma nel passato dell’asteroide.
La chiave è stata puntare lo sguardo su Brumalia Tholus, una delle catene montuose in miniatura di Vesta: si tratta di una zona rialzata dalla forma allungata e disseminata di piccoli crateri. Tra questi spicca Teia, nella parte più a nord di Brumalia, al cui interno sono nascoste chiare tracce di antica attività vulcanica.
Il cratere fortunato è profondo 900 metri, decisamente poco rispetto alla media; tuttavia l’ampiezza del suo diametro fa pensare che un tempo arrivasse a una profondità di un paio di chilometri. È qui che giace un deposito di residui magmatici, e in particolare diogenite: guarda caso, uno dei tre gruppi di cui fanno parte le meteorite HED. Ecco quindi la prova che mancava, a svelare definitivamente il vestito magmatico di Vesta.
Per saperne di più:
http://www.media.inaf.it/2014/05/15/vesta-e-il-suo-vestito-di-magma/
Sono serviti anni di complicato ed infinitesimale lavoro, ma le teorie di Albert Einstein hanno trovato un'altra grande conferma sperimentale. Trattando di relatività generale e ristretta, più di un cenno deve essere fatto nei confronti del grande lavoro scoperto da questo incredibile scienziato. Un'opera durata anni è riuscita a demolire, tramite semplicissime intuizioni, le assolute convinzioni di una fisica classica e millenaria. A distanza di moltissimi anni arrivano anche oggi straordinarie conferme sperimentali su quanto pensato dallo stesso Einstein. E' di pochi giorni fa, infatti, la conferma che le teorie di distorsione spazio-temporali pensate per i corpi in galleggiamento nell'universo sono concretamente riscontrabili anche sul pianeta Terra. Muovendosi nei suoi moti principali di rotazione, rivoluzione e gravitazione, l'astronave sulla quale viaggiamo ubbidisce alle leggi impresse a caratteri cubitali nella storia dal grande fisico. A dispetto di una famosa affermazione di Einstein, secondo la quale "ho imparato una cosa nella mia lunga vita, e cioè che rispetto alla realtà tutta la nostra scienza è primitiva e infantile, eppure è la cosa più preziosa che abbiamo", è stato confermato quello che era racchiuso tra esclusivi caratteri matematici. Pur primitivamente ed infantilmente, l'esperimento Gravity Probe B gestito in collaborazione tra Stanford University e dalla NASA è riuscito appieno nella missione di misurare e quantificare la deformazione spazio-tempo attorno alla Terra. Tale missione, iniziata nel 2004, ha impiegato 7 anni per giungere ad una prima e fondamentale scoperta. Collocando quattro giroscopi dalla precisione impeccabile in posizioni adatte, sono state quantificate ed identificate le grandezze seguenti:
Tralasciando le complicatissime modalità dell'esperimento compiuto, il GP-B è riuscito nell'impresa di misurare questi valori con una precisione incredibile: si tratta di uno spostamento quantificabile in pochissime migliaia di cosiddetti milliarcosecondi. "Un milliarcosecondo è lo spessore di un capello umano visto da 10 miglia di distanza, è un angolo davvero minuscolo, e questa è l'accuratezza che doveva raggiungere Gravity Probe B." è l'opinione riportata da Francis Everitt, primo firmatario dell'articolo riportato su Physical Review Letters. E' possibile effettuare un paragone più comprensibile riguardo alla scoperta fatta? Lo stesso Everitt chiarisce con un semplice esempio l'idea complessa di distorsione spazio-temporale: "Immaginiamo come se la Terra fosse immersa nel miele. Quando il pianeta ruota attorno al proprio asse e orbita attorno al Sole, il miele si deforma e crea dei vortici, e lo stesso avviene con lo spazio-tempo." Tra Terra e miele, comunque, un grande traguardo è stato raggiunto con numeri infinitamente precisi. Seppur primitiva ed infantile, spesso, la scienza sa regalare grandissime ambizioni ed impensabili traguardi all'essere umano. Quali le conseguenze potenziali di questa scoperta? "GP-B ha confermato due delle più profonde previsioni dell'universo di Einstein, con notevoli implicazioni sulla ricerca astrofisica", ha detto Everitt. I ricercatori del team sono dello stesso avviso: "I risultati della missione avranno un effetto a lungo termine sul lavoro dei fisici teorici negli anni a venire. Qualsiasi futura sfida alla teoria di Einstein della relatività generale dovrà confrontarsi misurazioni più precise di quelle egregiamente eseguite da GP-B." Il meglio dell'opera, sembra, dovrà ancora venire.
Fonte per la rielaborazione dei contenuti: http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/La_deformazione_dello_spazio-tempo_attorno_alla_Terra/1347784