Era comparso dal Mare Eritreo. Diceva di chiamarsi Oannes ed era un animale dotato di raziocinio; tutto il suo corpo era come quello di un pesce; aveva sotto la testa di pesce un’altra testa, e dei piedi umani, aggiunti alla coda di pesce. Anche la sua voce ed il linguaggio erano umani e articolati. E ancora oggi si venera la sua immagine.
Con queste parole lo storico babilonese Beroso descriveva, nel 275 a.C., una misteriosa creatura apparsa improvvisamente in Mesopotamia, uscita dalle acque per "istruire ed instradare" il barbaro genere umano.
"Questo essere - raccontava Beroso - non si nutriva mai ma parlava con l’uomo tutto il giorno; insegnava le lettere, le scienze, le arti. Aveva insegnato a costruire le case e a fondare i templi, a compilare le leggi, a distinguere i semi della terra e a raccogliere i frutti; aveva spiegato i principi della geometria e, in breve, aveva insegnato tutto quello che serviva a dare dei modi garbati e a rendere più umana la gente. I suoi insegnamenti erano così universali che, dopo allora, non fu aggiunto nulla per migliorarli. Quando tramontava il sole, l’essere si tuffava in mare ed attendeva tutta la notte nelle profondità marine, in quanto anfibio. Dopo di lui apparvero altri animali simili ad Oannes." Chi o cosa era veramente il misterioso essere descritto da Beroso più di duemila anni fa?
Una creatura fantastica e leggendaria cui attribuire l’improvvisa evoluzione della società umana, o, come affermano molti ufologi, un visitatore spaziale in missione sulla Terra?
Di quest’ultima idea è lo studioso tedesco Ulrich Dopatka, che non fatica a vedere nel "corpo di pesce" il ricordo deformato di una tuta spaziale anfibia. "Oannes - racconta Dopatka - è un nome che in siriano antico significa 'lo straniero'. Questo straniero comparve simultaneamente nel Golfo Persico e nel Mar Rosso".
L’Oannes babilonese fu solo il primo di dieci, comparsi nel Mare Eritreo, il tratto di mare comprendente il Golfo Persico, il Mar Rosso e l'Oceano Indiano. Berosso chiamava questi esseri "Annedotoi", "i ripugnanti", e l’orrore che questi esseri suscitavano nella gente del luogo è un indizio della veridicità di quanto è stato tramandato.
"La nostra reazione alla visita di un extraterrestre non sarebbe forse uguale? Gli Oannes - prosegue Dopatka - avevano ognuno un nome specifico, come Odakon, Euedokos, Eneugamoo, Eneuboulos e Anementos. Dal filologo egizio Elladio sappiamo che Oannes era 'sbarcato da un uovo luminoso precipitato in mare', molto simile ad un disco volante. Nella mitologia sumera egli era spesso identificato con il dio Eridu, il signore delle onde, e a lui era dedicata la stella Canopo, da cui si diceva provenisse." A conferma della realtà di questi eventi occorre sottolineare che il culto dell’uomo pesce dei sumeri era anticamente diffuso in tutto il Medioriente.
Oannes era venerato presso i filistei con il nome di Dagon, mentre i Dogon del Mali, nell’Africa Nera, lo chiamavano "il Nommo", il dio anfibio. Il ricordo delle sue imprese sopravvisse persino nella cultura monoteista ebraica al punto che, secondo il vangelo apocrifo "Atti di Pilato", quando Gesù entrò in Gerusalemme come inviato divino, il popolo lo acclamò come "Oannes che vieni dall’alto dei cieli" (frase secondo alcuni passata alla storia, per un errore di traduzione dall’ebraico, nella versione distorta "Osanna nell’alto del cieli"). Di quest’ultima interpretazione si dice convinto, oltre all’ignoto compilatore del vangelo sopra citato, anche lo studioso ebraico contemporaneo Hayym ben Yehoshua, secondo cui Gesù, il "pesce" secondo l’iconografia cristiana, e molti grandi mistici del passato sarebbero stati degli Oannes "avatar", cioè degli inviati divini mandati a salvare l’umanità.
Senza arrivare a questi estremi, è curioso notare come nei vangeli apocrifi, cioè in quei testi ebraici e mediorientali a sfondo biblico non riconosciuti dalla Chiesa, si accenni ripetutamente agli Oannes. Il primo a parlarne è il patriarca biblico Enoch, "rapito in cielo da un vento impetuoso e portato in una Grande Casa di cristallo, alla presenza dei Figli dei Santi", gli Osannes o Osannini.
Ecco come è descritto quello straordinario incontro antidiluviano, nella versione etiope del "Libro di Enoch" (II-I sec. a.C.): "I loro abiti erano bianchi e i loro volti trasparenti come cristallo - scrive Enoch - essi mi dissero che l’universo è abitato e ricco di pianeti, sorvegliati da angeli detti Veglianti o Vigilanti; e mi fecero vedere i Capitani e i Capi degli Ordini delle Stelle. Mi indicarono duecento angeli che hanno autorità sulle stelle e sui servizi del cielo; essi volano con le loro ali e vanno intorno ai pianeti."
Dai misteriosi "Figli dei Santi" Enoch apprende che lo spazio è controllato da due specie di angeli.
I primi sono creature tipicamente bibliche, esseri di luce superiori all’uomo per natura e per saggezza, in diretto contatto con l’Altissimo; sono chiamati Cherubini, Serafini e Osannini e sono soliti fornire messaggi rapendo in cielo le persone o, come precisa una versione slava del Libro, "penetrando in camera da letto". I secondi, detti Veglianti o Vigilanti, sono una razza decaduta che il "Libro di Enoch" definisce "un tempo santi, puri spiriti, viventi di vita eterna, contaminatisi con il sangue delle donne", padri di una stirpe di "giganti, esseri perversi chiamati spiriti maligni", sterminati dal diluvio.
Circa questi ultimi non si può fare a meno di notare come il loro nome, Veglianti o Vigilanti, risulti identico ai "Watchers", i rapitori Grigi che penetrano in camera da letto. Gli Osannes dimostrano di conoscere molti grandi segreti dell’universo, specie per quanto riguarda la cartografia stellare. "Mi mostrarono le stelle del cielo - scrive il patriarca - vidi come venivano pesate a seconda della loro luminosità, della loro lontananza nello spazio e del giorno della loro comparsa", quindi con i medesimi sistemi della moderna astronomia.
Della validità delle cognizioni astronomiche degli Oannes si sono detti convinti, nel libro "Vita intelligente nell’universo" (Feltrinelli, 1980) anche gli astronomi Josif Shklovsky e Carl Sagan (quest’ultimo è in seguito diventato uno scettico d’ufficio, per comodo). "Perché escludere la possibilità di un evangelismo extraterrestre? - scrivono di due - C’è un sigillo cilindrico sumero che mostra il nostro sole con attorno nove pianeti. Da dove avevano attinto quest’informazione i sumeri, se non dagli Oannes? Leggende di questo tipo meritano uno studio critico molto approfondito e la possibilità di un contatto diretto con una civiltà extraterrestre deve essere tenuta presente come una fra le molte interpretazioni alternative."
Conoscenze altrettanto straordinarie fanno parte del patrimonio religioso dei Dogon, una tribù del Mali negli anni Trenta ferma all’età della pietra.
Avvicinati dall’etnologo francese Marcel Griaule più di sessant’anni fa, i Dogon, una volta superata la diffidenza, svelarono di custodire profondi segreti scientifici, rivelati nella notte dei tempi da otto "Nommo" scesi sulla Terra.
Secondo quanto rivelato a Griaule dallo stregone Ogotemmeli, i Nommo erano delle creature acquatiche mandate sul nostro pianeta dal dio Amma per istruire gli uomini. Sbarcati da una strana macchina fragorosa, gli dei avevano detto di provenire da "Potolo, una stella fatta della materia più pesante dell’universo".
Durante il loro viaggio i Nommo avevano incrociato un pianeta con molti anelli (Saturno), uno con molte lune (Giove) ed uno, satellite della Terra, morto e disseccato. Dai Nommo i primitivissimi Dogon impararono a costruire dei santuari cosmici orientati verso Venere e ad intrecciare canestri che, una volta srotolati, risultano essere delle mappe stellari della Via Lattea.
Marcel Griaule apprese che i Dogon conoscevano la rotazione della stella Sirio, da cui provenivano i Nommo, e della sua compagna "Sirio B".
Quest’ultimo dato ha stupito molto i ricercatori, quanto negli anni Trenta i moderni telescopi non avevano ancora scoperto la "compagna invisibile" di Sirio, una nana bianca pesantissima ("fatta della materia più pesante dell’universo"), invisibile ad occhio nudo.
Un’informazione, quest’ultima, che una cultura ferma all’età della pietra non poteva assolutamente conoscere.
A meno di averlo saputo dagli dei.