La cittadine di Taji, in Giappone, sta progettando la realizzazione di un delfinario. Ma in questo parco a tema non si potrà solo ammirare i delfini e giocare con loro, ma anche mangiarli.
L’insolito abbinamento (che come si può immaginare ha attirato diverse critiche, e ha fatto rabbrividire molti amanti dei delfini) deriva dal fatto che Taji è uno dei principali centri di pesca ai delfini, se non “il” centro della pesca ai delfini. Per questo è nata l’idea di cercare di “capitalizzare” questa fama realizzando un parco a tema dove si possano vedere i delfini ma anche assaggiare prodotti a base di delfino.
L’idea probabilmente nasce anche come tentativo di rilanciare il settore: la carne di delfino sarebbe sempre meno richiesta in Giappone, non solo per questioni etiche ma perché il suo gusto sarebbe sempre meno apprezzato, a cui si aggiungono preoccupazioni legate all’inquinamento dei mari dove vivono i delfini.
Anche l' Italia vanta quasi nascosta questa curiosità alla quale in pochi sapevano di carne di delfino in commercio abusivo.
Il settore agro-alimentare vanta in Italia le migliori leggi e i più severi controlli al mondo, per evitare adulterazioni e cibi avariati nei supermercati e nei ristoranti. Tuttavia qualcosa può sempre sfuggire, e per fortuna ci sono i media che consentono di accendere i riflettori su realtà che altrimenti resterebbero sommerse: merito quindi di Giulio Golia de Le Iene se è venuto alla luce un commercio di carne di delfino che avviene in alcuni ristoranti del Lazio. Inutile sottolineare che si tratta di qualcosa di assolutamente illegale, benché chi peschi questi mammiferi affermi che quanto accade è una pura casualità e non un’intenzione di frode.
I pescatori infatti sostengono che i delfini restano impigliati nelle reti contro la loro volontà, tuttavia questo non è un buon motivo per servire le loro carni in tavola come se fosse una prelibatezza esotica. Infatti le leggi in materia prescrivono la denuncia obbligatoria della morte degli animali alla Capitaneria di Porto, e si tratta di una legislazione che ha valore internazionale. E poi c’è il passaggio successivo, quando dalle reti si finisce direttamente in tavola, e qui qualsiasi proposito di non intenzionalità va a farsi benedire, come ha dimostrato il servizio di Golia, realizzato con il consueto metodo della telecamera nascosta.
Infatti esiste una parola d’ordine per farsi servire la carne di delfino nei ristoranti del litorale laziale, ovvero black. Come si evince dalle immagini del video, il ristoratore non fa una piega quando viene pronunciata la parolina magica, servendo ai commensali mosciame di delfino. Addirittura i clienti ne chiedono di portane a casa una porzione, e il ristoratore vende loro circa mezzo chilo di carne di delfino, tenuta ben nascosta in casa. Inoltre l’uomo rivela che la qualità più pregiata di suddetta carne si trova in Liguria, precisamente a Camogli. Dopo aver mostrato l’orribile pasto, il giornalista de Le Iene torna a parlare con il pescatore e il ristoratore a volto scoperto, ma entrambi negano l’evidenza, sostenendo che non si tratta di delfino. Peccato per loro che le analisi confermino quanto mostrato nel servizio.
Se il delfino è un animale amorevole non lo è altrettanto la sua carne. Al contrario è tossica.
Il delfino, un animale di grosse dimensioni, occupa una posizione elevata nella catena alimentare. Si nutre di pesci che a loro volta hanno mangiato pesci più piccoli, fino al plancton, definito anche “filtro vivente”. Proprio per questo, a causa dell’inquinamento del mare e degli oceani, i delfini assumono nella loro dieta enormi quantità di sostanze inquinanti, già presenti nei pesci con cui si alimentano. La quantità di mercurio presente in un delfino è di gran lunga superiore a quella presente in una sardina o in un luccio. Pensare di mangiare un filetto di delfino significa avvelenarsi, in quanto il mercurio, purtroppo presente nell’acqua, provoca gravi e irreversibili danni neurologici. Nelle mense scolastiche di alcune località giapponesi il delfino è servito anche ai bambini, già educati per portare avanti questa malsana tradizione. Alcuni consiglieri comunali di Taiji però, in seguito ai rapporti di autorità mediche indipendenti e dopo aver parlato con lo stesso Richard O’Barry, sono insorti e l'hanno fatto abolire dai menù della scuola elementare. Ma il problema rimane poichè in tutto il Giappone il delfino è proposto nei supermercati con l’etichetta “Carne di balena”, ritenuta accettabile dalla cultura alimentare nipponica. C’è ancora molto da fare prima che questi grandi mammiferi vengano rispettati e compresi. I pescatori di Taiji, intervistati hanno risposto in modo scanzonato: “E voi occidentali non mangiate i maiali e le vacche?”. Ma che esempio è questo? Uccidere dei delfini non ha senso, la loro carne è inquinata e già questo basterebbe. Si dovrebbe invece, cercare di trovare delle cure all’avvelenamento da mercurio o quantomeno dei rimedi per porre fine all’inquinamento dei mari!
Il signor O’Barry, durante le sue indagini in questi ultimi anni, ha scoperto che il Giappone sta cercando di ribaltare importanti decisioni in tema di difesa ambientale cercando nuovi partner tra i piccoli paesi in difficoltà economica. Essendo membro dell’IWC (International Whaling Commission), recluta paesi in bancarotta proponendo aiuti finanziari in cambio di voti favorevoli alle sue assurde proposte, come quella in cui si giustificava la pesca delle balene in quanto sarebbero responsabili dell’impoverimento dei banchi di pesci negli oceani. Peccato che le balene si nutrono esclusivamente di krill, piccoli crostacei e placton! Però è stata ugualmente votata a favore da Saint Kitts e Nevis, Dominica, Antigua e Barbadua, Saint Lucia e Grenada. Mentre, recentemente, sono stati “assoldati” anche altri altri paesi come: Camerun, Cambogia, Ecuador, Eritrea, Guinea-Bissau, Kiribati, Laos e Isole Marshall.
O’Barry è quindi andato a parlare con i delegati di questi piccoli paesi del terzo mondo e costoro non sapevano dare alcuna motivazione convincente alle loro scelte. Nessuno di loro era un esperto in cetacei.
In quel documentario ho visto centinaia di delfini essere trafitti dalle lance; ho visto piccoli di delfino scappare terrorizzati per poi annegare e ho visto l’acqua dell’oceano intingersi di rosso, il rosso del sangue. E’ una scena straziante che si ripete ogni anno, da troppi anni e tutto ciò non può essere considerato l’applicazione del libero arbitrio: questo è un olocausto, lo sterminio sistematico dei delfini! Questa è la prova: non siamo degni di autodefinirci la “specie più intelligente” del pianeta.
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