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15 luglio 2019 1 15 /07 /luglio /2019 22:35

Gli scienziati stanno ancora studiando il Sole per cercare di svelare i suoi misteri e oggi essi dispongono di strumenti incomparabilmente piú potenti e precisi di quelli del tempo di Galileo, ma giá nei secoli passati si potevano osservare le macchie con abbastanza precisione anche se certamente i telescopi di allora non avevano la risoluzione che hanno i moderni apparecchi.

Galileo e gli altri potevano osservare il Sole solo con la luce visibile e non gli ultravioletti, gli infrarossi, i raggi X e i raggi gamma, ma pur con tutti questi strumenti ancora oggi il mistero delle macchie solari, della loro formazione e della loro morte non é ancora completamente svelato.

Cerchiamo allora di fare una “anatomia” ad una macchia solare.

La macchia solare é costituta da 2 parti: l´ombra e la penombra, la differenza é dovuta alla diversa temperatura:
la temperatura dell’ombra delle macchie solari oscilla fra 4000 e 5200 K, mentre la temperatura della penombra è di circa 5500 K.

Immagine di una grande sunspot.

pur nella loro diversitá di grandezze possiamo affermare che una sunspot é mediamente grande come il pianeta Terra anche se a noi appare piccolissima.

Per capire l´anatomia di una macchia dobbiamo fare un piccolo passo indietro e vedere rapidamente come é fatto il Sole e come funziona. Gli scienziati pensano che il Sole sia fatto di vari strati, la zona centrale in cui avviene la fusione é chiamata ‘core’  da questa fusione viene prodotta ed emessa l´energia che si dirige verso la zona di convenzione e da qui i flussi di gas caldo “plasma” trasportano l´energia verso la superficie del Sole o fotosfera. Sono stato estremamente sintetico e semplicistico, ma il succo é questo e per eventuali approfondimenti ci sono molti articoli su questo blog.

Questo movimento é all´incirca quello che avviene con una pentola che bolle. I flussi plasmatici che si muovono verso l´esterno rilasciano il loro calore e poi riprecipitano verso l´interno per essere riscaldati di nuovo.

Questo movimento circolare della zona di convenzione forma il pattern granulare che possiamo osservare sulla superficie all´esterno delle macchie solari.

Ogni granulo é un flusso separato di plasma.

Inoltre il Sole, come la Terra e altri pianeti, produce un campo magnetico. Sinteticamente diciamo che la “zuppa” calda del plasma contiene molti elettroni e protoni e il plasma spostandosi verso la superficie provoca il magnetismo, come un filo collegato ad una batteria che in questo caso é la parte centrale del Sole dove avviene la fusione, questo movimento meccanico genera i campi magnetici e di conseguena le macchie solari.

Le regioni dove ci sono macchie solari hanno un forte campo magnetico, e le linee di campo sono talmente potenti da provocare a volte dei loop, proprio come avviene con gli schizzi di salsa di pomodoro quando bolle!!
I forti campi magnetici che escono dalle macchie solari tendono a rallentare il ciclo delle celle di convezione perché impediscono al gas di ridiscendere una volta raffreddatosi in superficie; le macchie sono infatti regioni più calme rispetto alla turbolenta fotosfera e da esse fuoriesce molta meno energia che non dai granuli della fotosfera. Il contrario avviene nelle facole, zone leggermente più calde e più energetiche di quelle circostanti, sovente associate a grandi gruppi di macchie, forse proprio perché il cammino dell’energia, ostacolato dalla presenza delle macchie, deve avere modo di liberarsi.

Una immagine di un loop solare

Per capire una macchia solare immaginiamo una bolla che si forma proprio nella pentola con la nostra salsa. Per esistere, la bolla che si forma deve avere una pressione interna uguale alla pressione esterna attorno alla bolla. Sulla superficie del Sole si ha solo la pressione del gas che dipende dalla temperatura, mentre all´interno della macchia solare si ha la pressione del gas e la pressione del campo magnetico che si combinano tra loro. Quindi per esistere una macchia solare é necessario l´equilibrio e cioé che la pressione magnetica all´interno delle macchie solari deve essere inferiore alla pressione del gas circostante.

All´interno delle macchie solari:     All´esterno delle macchie:

P (gas) + P( magnetico)            =         P (gas)

E dato che le macchie solari sono scure significa che sono piú fredde della zona circostante e che questo raffreddamento é dovuto alla presenza proprio della pressione magnetica!
Gli studiosi del Sole classificano le macchie in base alla loro classe magnetica, e cosí abbiamo:
ALPHA Regione unipolare;
BETA Regione bipolare;
GAMMA Regione complessa;
DELTA esistono ombre di polarità opposta entro una penombra in gruppi di tipo BETA e GAMMA.
Una RA con un Mag Type GAMMA o ancor meglio DELTA sara` sicuramente potenziale produttrice di brillamenti e tempeste magnetiche, o protuberanze solari molto vaste oppure ancora di potenti burst coronali.

Un´altra classificazione delle macchie é la “Classificazione di Zurigo:

A singola macchia isolata senza penombra, chiamata anche “poro”.Deve essere contata sia come macchia che come gruppo.
B gruppo di due o più macchie ma in nessuna di esse si nota penombra.
C gruppo di macchie in cui una è principale ed è circondata da una zona di penombra.
D gruppo di macchie in cui due almeno sono circondate da penombra.
E gruppo di macchie simile a D ma molto più complesso, con molte macchie e complicate conformazioni.
F gruppo di macchie notevole e vasto con zone complesse e frastagliate, che può superare una estensione di 15° in longitudine
H residuo di un gruppo E o F in via di estinzione, di solito si nota una grossa macchia circondata da due tre piccole macchie

Da questo diagramma a farfalla (a proposito il diagramma fu inventato nel 1904 da Maunder) possiamo notare come rarissimamente le macchie compaiono sopra i 40° Nord e Sud e nella zona equatoriale inferiore ai 5°, ed inoltre vediamo come  il massimo delle macchie e quindi il massimo del ciclo solare appare attorno ai 18° 13° Nord e Sud di latitudine altri dicono che il massimo si ha quando le macchie solari si trovano tra i 20° e i 10°, ma la sostanza cambia poco, perché questo significa che le macchie del ciclo 24 si stanno presentando alla latitudine suddetta e che quindi ci possiamo trovare vicino al suo massimo… io lo posso dire ma gli astrofisici non lo possono dire perché ció significherebbe che ci troviamo in prossimitá di un grande minimo solare e… bye bye AGW !!!

A questo proposito mostriamo il diagramma a farfalla attualizzato del ciclo 24 e da questo diagramma si vede come esistono due massimi solari uno per l´emisfero Nord e uno per il Sud., che in questo grafico di Catania sono segnati dai rettangolini neri. Inoltre osserviamo come nel ciclo 24 mancano quasi totalmente, fino ad adesso, le macchie con latitudine entrei 30° e i 40° Nord e Sud. È come se il ciclo abbia saltato tutta una fase iniziale e si trovo giá ben avanti verso il suo massimo.

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20 maggio 2019 1 20 /05 /maggio /2019 22:21
I pianeti non suonano un bel niente. Perché il suono si diffonda c’è bisogno di un mezzo come l’aria o l’acqua o altro ancora che è assente nel vuoto cosmico.
Si parla invece di rapporti numerici, condivisi dal moto dei pianeti e dalla scala musicale occidentale.
Keplero individuò un intervallo musicale nel moto di un pianeta mettendo in rapporto le velocità angolari all'afelio e perielio (per esempio in marte è 2/3 cioè un rapporto di quinta come fa-do)
In particolare Keplero constatò che il rapporto numerico tra la velocità massima e minima (afelio e perielio) dei pianeti vicini generava una consonanza armonica sorprendente spiegabile solo con una volontà divina per l’ armonia nell’universo.
Unica eccezione, per congiunture astrali, la disssonanza (distanza di semitono) tra il perielio di Marte e l'afelio di Giove
K. mise su un pentagramma questa sua constatazione indicando le note che venivano generate dal moto dei pianeti. In realtà i Pianeti nel loro moto variano la velocità in modo costante e il suono generato sarebbe un "glissato".
K. invece voleva dare una prova della musicalità di questi pianeti e allora converte questo suono in una scala molto più piacevole da ascoltare.
Si può notare  che a un moto lento (come Saturno) corrispondono note gravi, a un moto quasi costante a causa di un’orbita quasi circolare (come per Venere) corrisponde una sola nota fissa. Viceversa  si vede che mercurio ha un’orbita molto schiacciata con una grande variazione di velocità angolare a cui corrisponde una scala musicale molto estesa.
Nel video che segue, la musica generata dai pianeti è stata associata agli spartiti di Keplero.
 Video Mogi Vicentini. Musica Arcangelo Di Donato su Notazione di Keplero. 
 
 
 
 

La componente estetica ha guidato la ricerca scientifica non solo di Keplero  ma degli scienziati di tutte le epoche, inclusa quella contemporanea. L'estetica e l'eleganza formale di una formula matematica è difficilmente apprezzabile da un vasto pubblico. Tuttavia la musica ci permette di visualizzare acusticamente rapporti numerici. Per esempio 3/2 (rapporto chiave nella terza legge di Keplero*) in musica si ascolta con estremo piacere essendo un rapporto di 5a (come l'intervallo do-sol) : cosi sono accordati la maggior parte degli strumenti ad arco.

La tesi affascinate di Anna Maria Lombardi è che Keplero fosse affascinato talmente dall'armonia di questo rapporto da fargli pensare che se andava bene per la musica sarebbe andato bene anche per le leggi che regolano l'universo.



Le musiche che abbiamo "costruito" sono basate sugli  scritti di Keplero che mise su uno spartito le note generate dai pianeti nel loro moto. A un'orbita poco schiacciata corrisponde un intervallo breve (come per la terra con un intervallo di un semitono).Se l'orbita è molto schiacciata la velocità angolare è molto variabile (come per Mercurio il cui moto è descritto da una scala musicale di più di 2 ottave). Nel video vediamo il moto di marte.
 Videoanimazione di Mogi Vicentini, musica di Arcangelo Di Donato su principi di Keplero



C'è poi da aggiungere che l'orbita ellittica non era facilmente digeribile neanche per Keplero poiché rompeva con la perfezione divina del cerchio. Ma constatare che i pianeti non suonavano monotonamente una sola nota ma una polifinonia, rendeva divinamente musicale l'armonia delle sfere. Questa armonia è riscontrabile anche per i pianeti non ancora scoperti al tempo di Keplero (Nettuno, Urano e Plutone).


Le 3 leggi di Keplero:
 
  1. « L'orbita descritta da un pianeta è un'ellisse, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi. »
  2. « Il segmento (raggio vettore) che unisce il centro del Sole con il centro del pianeta descrive aree uguali in tempi uguali. »
  3. « I quadrati dei tempi che i pianeti impiegano a percorrere le loro orbite sono proporzionali al cubo delle loro distanze medie dal sole. »
 
 
 
 
     
Le Sette opere di Misericordia , Caravaggio. 1607      
Di analogie sorprendenti nella scienza kepleriana ce ne sono tante oltre a quella musicale. Per esempio la prima legge di K., che sostiene il moto ellittico dei pianeti, cade negli stessi anni in cui si passa dallo stile rinascimentale a quello barocco. Una delle caratteristiche fondamentali di questo mutamento di stile è il passaggio dalla fissità perfetta del cerchio (figura chiave di tutta l’arte rinascimentale) all’ eccentricità dell’ellisse (ellittiche diventano le piante delle chiese barocche e intorno all’ellisse si dispongono le figure in pittura dalla fine del 500).
Sant'Andrea al Quirinale, Gian Lorenzo Bernini, 1658
 
La Viola d'amore e l'accordatura in funzione del Perielio dei pianeti.
Le corde di risonanza sono accordate secondo l'Afelio.

Uno strumento tipicamente barocco, la viola d’amore, suona grazie a al contributo di alcune corde che,  non toccate da nulla, vibrano per l’effetto armonico detto “simpatia”.  All’epoca di Keplero questo strumento aveva sei corde principali (come 6 erano i pianeti noti) e sei corde “simpatiche”. Più o meno alla scoperta del 7° pianeta (Urano, 1781) si diffuse il modello a 7 corde + 7.

 
  • Venere  
  • per viola d'amore solo (in sequenza: perielioVenere, perielioVenere+Terra, Perielio di tutti i pianeti, orbita di Saturno, Orbita di tutti i pianeti, Orbita di Mercurio, Armoniche di tutti i pianeti, perielio Mercurio+Terra).
Arcangelo Di Donato Viola d'amore
 

La progettazione delle musiche che ascolterete ha tenuto conto delle indicazioni autografe di Keplero.
Parlo di progettazione perchè la struttura deriva dagli spartiti autografi di Keplero
Su uno spartito abbiamo riportato le armonie dei sei pianeti accelerando adeguatamente l’esecuzione per rendere l’ascolto possibile  (per esempio il moto della terra sarà udibile in alcuni secondi invece di un anno).
Potete ascoltare le musiche con suoni campionati qui, oppure con trumenti ad arco qui.
Buon ascolto
Lo schema dell'altezza e durata delle note in funzione del'afelio e perielio dei pianeti. L'accordatura della viola d'amore.
 
fonte
 
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15 gennaio 2019 2 15 /01 /gennaio /2019 22:45
asteroide 2002 NT7 vai cair na Terra em fevereiro de 2019?

La NASA stava nascondendo una grave catastrofe data-contrassegnata? Qual è la verità sull'asteroide di 2 km? 

L'asteroide 2002 NT7 (89959 2002 NT7), è un NEO (oggetto vicino alla Terra), di 2 km di diametro, scoperto il 9 luglio 2002. L'asteroide appena scoperto potrebbe essere passato inosservato tra centinaia di nuovi oggetti che dovevano essere scoperti in seguito, ma qualcosa catturò l'attenzione degli scienziati: la loro traiettoria. 
 

asteroide 2002 NT7
Crediti: NASA / NEO


L'asteroide NT7 del 2002 divenne il primo oggetto osservato dal programma di monitoraggio NEO della NASA per ottenere un numero positivo sulla scala di Palermo (0,06). Per comprendere un po 'questa scala, ha la funzione di misurare il rischio di impatto degli oggetti con la Terra. Sembra la scala torinese (che utilizza valori compresi tra 0 e 10), ma è più dettagliata e molto più complessa.Nella scala di Palermo, il valore -2 rappresenta un rischio di impatto medio dell'1%; il valore 0 indica una probabilità di impatto medio pari al rischio medio, e il valore 2 indica che la possibilità di impatto è 100 volte superiore al rischio medio. Cioè, c'era una considerevole possibilità che l'asteroide del 2002 NT7 entrasse in collisione con la Terra il 1 febbraio 2019, secondo la NASA . Vale la pena ricordare che questa considerevole possibilità era molto piccola, tuttavia esisteva. 
 

Asteroide 2002 NT7 - orbita inclinada
Nell'immagine possiamo vedere come l'orbita dell'asteroide 2002 NT7 sia molto inclinata. 
Crediti: NASA / NEO / JPL-Caltech


Poiché è stato il primo oggetto a rischio considerevole di collisione con la Terra, ha presto attirato l'attenzione di diversi scienziati, che hanno rielaborato i calcoli e le nuove osservazioni hanno aiutato a prevedere la sua traiettoria. Alcuni giorni dopo, il 28 febbraio 2002, gli esperti della NASA hanno respinto la possibilità di una collisione con la Terra . "Possiamo già ignorare ogni possibilità di impatto entro il 1 ° febbraio 2019", ha detto Don Yeomans della NASA. "Non possiamo ancora escludere completamente la possibilità di impatto con la Terra entro il 2060, ma da tutti i conti, deve anche essere scartato nel tempo." 


Conspiracy? La NASA avrebbe nascosto un forte impatto sulla Terra? 

Come previsto, l'asteroide NT7 del 2002 era (ed è tuttora) causa di dibattito e teorie. Secondo i siti web delle "teorie della cospirazione", il governo degli Stati Uniti avrebbe rilasciato una dichiarazione in cui si chiedeva alla NASA di rimuovere immediatamente qualsiasi possibilità di impatto dell'asteroide del 2002 con la Terra, anche se tale possibilità esistesse ancora. D'altra parte, molti scienziati non hanno gradito il modo in cui il soggetto è stato ritratto dai media internazionali e hanno accusato i giornali di sensazionalismo . 

Secondo Benny Peiser della John Moore University di Liverpool, in Inghilterra, sarebbe prudente chiarire alla società che la traiettoria dell'asteroide 2002 NT7 può essere alterata da attrazioni gravitazionali di altri oggetti e che le future osservazioni potrebbero portare a nuove date di collisione. Nonostante questo, le probabilità sono molto, molto piccole, o quasi innominabili, almeno per questo asteroide. 


L'asteroide NT7 del 2002 si scontrerà davvero con la Terra nel 2019? Che dire del 2060? 

Secondo la NASA, non vi è alcun rischio di collisione con la Terra per il 2019. Oltre ad essere rimosso dal tavolo di possibili impatti, è ormai noto che l'asteroide 2002 NT7, di 2 km di diametro, supererà una distanza di sicurezza di 0,4078 AU (61,010.000 km) di terra il 13 gennaio 2019, ad una velocità media di 23 km / s, secondo il sito web della NEO della NASA . 
 

máxima aproximação do asteroide 2002 NT7 em 2019
L'immagine mostra la posizione dei pianeti interni, in particolare la Terra e l'asteroide 2002 NT7 
il giorno della sua approssimazione più vicina, il 13 gennaio 2019. 
Crediti: NASA / NEO / JPL-Caltech


Già per il 2060, non si sa per certo, dal momento che la sua traiettoria può subire cambiamenti dovuti all'interazione gravitazionale con altri oggetti. Fino ad allora, non si sa quale sarà il cambiamento orbitale dell'asteroide, tuttavia, possiamo vedere le previsioni preliminari fatte dalla NASA: 
 

máxima aproximação do asteroide 2002 NT7 em 2060
Approssimazione massima dell'asteroide 2002 NT7 con la Terra il 24 febbraio 2060. 
Crediti: NASA / NEO / JPL-Caltech


In ogni caso, ci sono alcuni modi per evitare le collisioni con la Terra, specialmente quando la data di impatto prevista è lontana. Un'idea sarebbe quella di inviare missili che si scontrassero contro l'oggetto, ma la detonazione creerebbe solo diversi frammenti la cui traiettoria non potrebbe essere prevista, il che potrebbe essere anche peggiore. Uno dei modi migliori per evitare una collisione con la Terra, secondo gli scienziati, sarebbe la deflessione. Gli ingegneri spaziali potevano inviare una navicella spaziale alla vicinanza dell'oggetto in questione, che a sua volta avrebbe la sua orbita alterata dall'attrazione gravitazionale del veicolo spaziale. 

Questi metodi di intercettazione non sono affidabili al 100%, ma sicuramente sarebbero già un asso nella manica in un'ipotetica collisione futura con la Terra. 


Quali sarebbero gli effetti se l'asteroide 2002 NT7 entrasse in collisione con il nostro pianeta? 

Se un asteroide di 2 km raggiungesse la Terra, gli effetti sarebbero disastrosi! Il danno causato dipende molto dalla composizione dell'asteroide, dalla pendenza, dalla velocità e dal sito dell'impatto.

Molto probabilmente, qualsiasi oggetto proveniente dallo spazio cadrà nell'oceano ad una profondità media di 1,5 km. Considerando che l'asteroide è mescolato (composto da rocce e metalli) e che è colliso con un angolo medio di 45 °, i calcoli effettuati dal programma ImpactEarth mostrano che l'impatto avrebbe liberato circa 600.000 megatoni di energia, aprendo una falla nell'oceano di 31 km , creando un grande cratere da impatto sul fondo del mare, inizialmente largo 15 km e profondo 5 km. 
 

asteroide 2002 NT7 pode atingir a Terra?
Illustrazione / Crediti: CORBIS


Se fossimo sulla costa, a 80 km dall'impatto, per esempio, saremmo colpiti dalla radiazione termica in meno di 2 secondi, che brucerebbe i nostri indumenti e causerebbe bruciature di terzo grado immediate, oltre a tutti gli alberi devastati. 

16 secondi dopo l'impatto, un terremoto di magnitudo 8,2 della scala Richter ci colpirà, il che distruggerebbe edifici e collasserebbe colline e montagne. I frammenti della collisione arriverebbero dopo 2 minuti e 15 secondi di impatto, con dimensioni comprese tra 26 cm e 1 metro. 

L'onda d'urto sarebbe arrivata solo 4 minuti dopo la collisione e il suono sarebbe stato di 118 dB, forte come il muggito di un elefante africano. 

 



E quando tutto sembrava finito, avremmo avuto una sorpresa circa 11 minuti dopo l'impatto: un mega-tsunami, con onde mostruose di circa 291 metri di altezza, che terminava con tutto ciò che ci attendeva. 

Fortunatamente, questo non sarà il caso dell'asteroide 2002 NT7 nel 2019. Potrebbe anche accadere che qualcosa di simile accada in futuro, ma al momento non ci sono asteroidi in rotta di collisione con il nostro pianeta, per quanto ne sappiamo ... 

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26 settembre 2018 3 26 /09 /settembre /2018 22:08

Era l'anno 1976, allora Accademia Kronos non esisteva con questo nome ma come Kronos 1991. Questa associazione era già famosa in Italia con i suoi 24.000 iscritti ed era, grazie ad alcuni servizi stampa internazionali, conosciuta all'estero, in particolare in America Latina.
 


A Ronciglione, in provincia di Viterbo, dove abitavo ed abito, un giorno giunse una coppia di giovani dalla Columbia. Cercavano proprio me quale referente di Kronos 1991. Lui era un laureato in antropologia e lei in fisica. Erano giunti da me, inviati da un gruppo di studiosi di astro-archeologia del Messico (non ricordo più il nome dell'organizzazione), perché li aiutassi nella loro missione europea. Ma di quale missione si trattava? Chiesi loro dopo che ci eravamo scambiati i convenevoli. Questi giovani avevano una dettagliata documentazione su una nuova interpretazione del famoso disco del Sole o calendario Azteco di Città del Messico, nonché su alcune letture dei glifi Maya in un tempio del Belize.
Li accolsi e li ospitai per alcuni giorni, poi gli organizzai a Roma una conferenza come mi era stato chiesto. Lei parlava discretamente la nostra lingua per cui era possibile comunicare con le persone che avrebbero partecipato all'incontro. Questi colombiani portavano con loro un messaggio che intendevano diramare a tutto il Mondo attraverso incontri e conferenze con scienziati, intellettuali e anche gente comune. Una impresa molto difficile, soprattutto per il fatto che la loro tesi sembrava molto fantascientifica e poi la loro giovane età: 27 lui e 26 lei (io avevo 30 anni) non davano ulteriore fiducia. Tuttavia per rispetto al loro impegno e per la legge dell'ospitalità accondiscesi ad organizzargli in Italia due appuntamenti-convegni, uno a Roma ed uno a Torino. I due convegni fecero registrare il tutto esaurito, ma i risultati furono deludenti. In effetti questi giovani studiosi, super documentati, asserivano che nel dicembre 2012, secondo l'interpretazione del calendario Maya, e secondo la rilettura del Disco Azteco di Pietra conservato a Città del Messico, un grosso pianeta appartenente ad un sistema solare gemello del Sole sarebbe passato vicino alla Terra si da determinare eventi catastrofici di inaudita violenza fino a mettere a repentaglio la vita di ogni essere, uomo compreso. Ovviamente nessuno, me compreso, pose attenzione più di tanto a quelle affermazioni, tanto più che la scienza ufficiale di allora non ci aveva mai parlato di una stella sorella del Sole, né tanto meno di un altro sistema solare a noi vicino. Questi due ricercatori accennarono ad un pianeta conosciuto nell'antichità con il nome di Hercolubus. Un pianeta grande 4 o 5 volte più della Terra che qualche volta ( ogni cinque mila anni circa ) intersecava con le orbite dei nostri pianeti, portando scompiglio e distruzione. Una testimonianza di questi eventi, secondo loro, era rappresentata dalla cintura degli asteroidi tra Marte e Giove, prova di uno scontro tra i pianeti dei due sistemi solari. Lo stesso Urano, secondo questi giovani, era la testimonianza di questi periodici rimescolamenti tra i pianeti dei due sistemi solari. Urano in effetti pur rispettando il piano delle orbite dei pianeti del nostro sistema solare rotea su se stesso in maniera anomala, con un angolo di 98°, quasi a farci vedere i suoi poli. Un'anomalia inspiegabile rispetto agli altri pianeti, ma che per questi due studiosi era invece la dimostrazione che Urano non apparteneva al nostro Sole ma ad sistema planetario di una stella diversa; pianeta quest'ultimo catturato durante un periodico”rimescolamento”. La carta che conservo ancora, datami da quei giovani nel lontano 1976 è questa che ho passato allo scanner. I sacerdoti-astronomi Maya allora chiamavano il nostro Sole “Ors” e sua sorella “ Tylo”.

Arriviamo nel luglio del 1999, con mio figlio mi recai a Città del Messico per assistere all'eclisse di Sole più lunga degli ultimi 1000 anni ( un oscuramento totale di circa 7 minuti). Andammo al grande e meraviglioso centro archeologico di Teotihuacan, a 60 Km da Città del Messico, scalammo il tempio del Sole e li attendemmo l'evento.
In quel luogo magico erano convenuti da tutte le parti del Mondo migliaia e migliaia di studiosi, curiosi e soprattutto gruppi di ricerca esoterici. Ebbi occasione di parlare con diverse persone confluite a Teotihuacan per l'eclissi. Chiesi loro perché tutta quella gente proprio li. Mi fu risposto che li il Sole aveva segnato l'inizio del quinto ciclo (la quinta umanità)e li il Sole avrebbe iniziato a lasciare il posto ad un nuovo Sole che avrebbe aperto il sesto ciclo”. In quel momento confesso di averci capito poco, ma un anziano archeologo messicano che avevo conosciuto in quella occasione, mi invitò per il giorno dopo presso il Museo Antropologico di Città del Messico a partecipare ad una conferenza sull'interpretazione del disco del Sole Azteco. -“… così capirai… ”- mi disse. Accettai l'invito e il giorno dopo,alle ore 10, ero nell'ampia sala conferenze del museo che conservava e conserva il grande e misterioso disco solare.
In quella affollata aula appresi molte cose interessanti, la prima che ricordo è l'interpretazione base del calendario. Gli Olmechi, i Tolteci, gli Aztechi, e i Maya avevano in comune un calendario che era basato su un anno ausiliario di 260 giorni, diviso in 13 mesi di 20 giorni (o in 20 settimane di 13 giorni), che definiva un secolo di 52 anni. L'anno solare era diviso a sua volta in 18 mesi di 20 giorni, più 5 giorni finali. Molta importanza veniva attribuita a tutte le combinazioni di numeri risultanti dalla differenza tra l'anno solare di 360 giorni e quello da loro applicato di 260. La differenza che ne scaturiva, diversa volta per volta a causa di alcune variabili che inserivano, rappresentava la chiave di lettura per interpretare gli eventi astronomici. Su questi complicati calcoli non ci ho capito un granché, tuttavia allora appresi che le società centroamericane a differenza di quelle mediterranee seguivano più che i moti della Luna e del Sole quelli di Venere e di Marte, e molti loro calcoli, legati anche ai grandi calendari di pietra, si rifacevano a questi due pianeti.
Da tutto un insieme di calcoli, complicati ancora oggi, soprattutto i Maya potevano prevedere eclissi solari e lunari con una precisione sbalorditiva. La stessa eclissi solare del giorno prima, secondo questi relatori, era stata prevista un migliaio di anni prima con grande precisione.
Fin qui, a parte la meraviglia per le conoscenze matematiche ed astronomiche di quelle antiche popolazioni, quello che mi lasciò di stucco fu quando si passò all'interpretazione dei bassorilievi racchiusi nei 4 quadrati a fronte della pietra del Sole. Le quattro scene, sempre secondo i relatori, rappresentavano 4 umanità esistite su questo pianeta prima della nostra, tutte distrutte, in ordine, dai giaguari, dal vento, dal fuoco del cielo e, infine, dall' acqua. La quinta umanità, cioè l'attuale, sarebbe stata distrutta da un grande evento cosmico. Ma dov'era la descrizione della nostra umanità? Era segnata sul bordo del disco. L'evento della distruzione di questa umanità ( dopo la nostra, sempre nella descrizione del disco solare, ci dovrebbero essere altre 2 umanità, dopodichè il Sole che ci alimenta dovrebbe morire) è indicato sui glifi Maya che si trovano in alcune piramidi dello Yucatan. Secondo questi relatori, visto che il calendario Maya si interrompe nel dicembre del 2012, in quella data dovrebbe avvenire l'evento astronomico catastrofico.
Alla fine della conferenza chiesi spiegazioni più dettagliate su quanto era stato detto; non tutti mi convinsero, però ad un certo punto sentii parlare di un corpo celeste, “il giustiziere” da alcuni definito, che aveva interferito nel passato, almeno altre 2 volte, con il nostro sistema solare e il suo nome pronunciato in uno spagnolo-americano era:“ Hercolubus”. A quel punto fui pervaso da un senso di stupore, io quel nome l'avevo già sentito ed era quello che 20 anni prima mi avevano detto i due giovani colombiani.
Tornato in Italia ne parlai ad amici e persone che conoscevano da tempo questa storia e tutti ne rimasero colpiti, ma come sempre vanno le cose anche questa volta, passati uno o due anni, tutto ricadde nell'oblio.
Un po' di tempo dopo un mio caro amico mi venne a trovare e mi regalò un libro, che era uscito già da qualche anno, ma che io non conoscevo: “Il dodicesimo pianeta”. Questa opera tradotta in molte lingue oggi è diventata per moltissime persone la nuova bibbia, in essa si narra di un popolo, gli Annunaki, abitanti di un gigantesco pianeta esterno al nostro sistema solare, immerso nella nube di Oort ( da dove nascono le comete) che ogni 3.600 anni si dovrebbe avvicinare con la sua lunga orbita al nostro pianeta. Gli annunaki, popolo scientificamente e tecnologicamente molto evoluto, sarebbe giunto sulla Terra circa 400.000 anni fa per estrarre i nostri minerali. Allora la Terra era popolata da ominidi, la cui intelligenza era appena superiore a quella delle scimmie, ma attraverso interventi di ingegneria genetica, gli abitanti di Nibiru, questo il nome del grande pianeta, crearono l'uomo sapiens, cioè noi. Fecero tutto questo per utilizzarlo come servitore, in particolare come minatore. Gli annunaki diedero l'avvio ai miti e alla nascita degli dei. Poi, prima di un grande cataclisma che avrebbe sconvolto la Terra , forse legato al diluvio universale, tutti gi annunaki tornarono definitivamente su Nibiru. Successivamente, dopo il cataclisma, ritornarono sulla Terra, ma non più in massa, solo qualche piccolo gruppo, tanto da continuare ad alimentare la leggenda degli dei. Questa storia fu scritta da Zacharia Sitchin, ebreo di origine russa, vissuto moltissimo in Israele. Giornalista, astronomo e archeologo. Il libro fu scritto a seguito di un interessante ritrovamento fatto nell'antica Mesopotamia, nelle terre dei Sumeri. Furono trovate tra il 1950 e il 1960 delle tavolette d'argilla con raffigurazioni di corpi celesti, di orbite e altre informazioni astronomiche, impensabili per quell'epoca. Quasi tutte le tavolette d'argilla analizzate parlavano alla fine di “Un signore del cielo”, una divinità del cielo che a volte “transitava” vicino al nostro mondo. Queste informazioni avrebbero successivamente ispirato a Sitchin la storia di Nibiru o del dodicesimo pianeta. In effetti dallo studio successivo effettuato da astronomi ed archeologici negli USA queste tavolette rappresentano il nostro sistema solare, ma con un pianeta in più.

Debbo dire che la lettura di questo libro mi turbò, mi fece riflettere…Mi chiesi: ”e se ci fosse alla fine, seppur in minima parte, una qualche base di verità?” Del resto anche il grande astronomo Tom Van Flanden ha sempre affermato che oltre la nube di Oort ( per alcuni confusa con la fascia di Kuiper, che è più all'interno nel Sistema Solare) potrebbe celarsi un pianeta sconosciuto.
Intanto grazie al telescopio orbitante Hubble a partire dal 1995 cominciava la scoperta di nuovi giganteschi pianeti extra solari, ad oggi siamo arrivati a 300 nuovi corpi celesti scoperti, di cui alcuni, in verità meno di una decina, un pò più grandi della Terra, gli altri invece grandi anche tre o cinque volte il nostro Giove.

Nel 1999 scienziati delle università USA ( Open Univerity e University of Louisiana) che studiavano da anni il viaggio di allontanamento dal sistema solare di due sonde terrestri lanciate negli anni '70, annunciarono alla stampa mondiale: - “ una forza misteriosa, generata da un grande oggetto invisibile, rallenta il viaggio delle sonde terrestri in uscita dal sistema solare; la stessa che, probabilmente, era ed è responsabile della deviazione delle orbite cometarie…”-
Nel contempo la NASA presentò un rapporto ufficiale, sintesi di osservazioni del grande telescopio Hubble, di varie missioni di satelliti e dello studio all'infrarosso di alcuni telescopi terresti , che avvaloravano la scoperta del presunto nuovo pianeta. Questo un passaggio del rapporto: - il corpo misterioso rilevato per la prima volta dall' IRAS disterebbe solo 80 miliardi di Km dal Sole e potrebbe trovarsi in fase di avvicinamento alla Terra. In particolare è stato captato due volte dal telescopio ad infrarossi e i dati raccolti mostrano che nel periodo di sei mesi si è spostato di poco dalla sua traiettoria. Ciò evidenzia che non si tratta d'una cometa, poiché una cometa non può avere una dimensione di 5 x la Terra ed, in ogni caso, si sarebbe spostata maggiormente. E' possibile quindi che si tratti di un nuovo pianeta, del pianeta X che gli astronomi hanno, finora, cercato invano .-
Anche in Italia nel 2003, riviste scientifiche hanno cominciato a parlarne, la prima “Newton”per finire con “Le Scienze”.
 Il pianeta X, secondo Zecharia Sitchin, era già conosciuto dai popoli mesopotamici, in particolare dai Sumeri.
Storia questa, come abbiamo già detto, scritta su alcune tavolette d'argilla e bassorilievi oggi conservati nei musei di Berlino, di Parigi e di Bagdad.
La mitica opera epica babilonese, antesignana della Bibbia, conosciuta come Gilgamesh, secondo molti studiosi non sarebbe altro che una allegoria cosmogonica in cui descriverebbe la formazione del sistema solare, del nostro pianeta e la nascita della vita sulla Terra, fino a giungere alla narrazione del grande diluvio universale. Marduk, uno dei principali eroi dell'opera, non sarebbe altro che il decimo pianeta o dodicesimo ( in questo caso calcolando come corpi celesti anche il Sole e la Luna ) che scontrandosi con la dea madre Tiamat consentì la nascita del nostro pianeta.

Tuttavia dal 1999 ad oggi, possibile che questo nuovo pianeta non sia stato ancora scoperto e fotografato? Un mistero che gli stessi scienziati non riescono a spiegare a meno che…….a meno ché questo grande pianeta non appartenga al nostro sistema solare, ma ad uno vicino, la cui orbita è legata più ad un'altra stella che non alla nostra, per cui ora si avvicina ed ora si allontana, vanificando in questo modo tutti i modelli matematici costruiti sulle rette di forza attrattive del nostro Sole. Nel 1999 la NASA captò questo corpo celeste che forse in quei mesi si trovava nel suo afelio rispetto alla stella madre. Tornerebbe a”pennello” allora la teoria di circa 30 anni fa esposta da quei due giovani ricercatori: l'esistenza di un altro sistema solare a noi vicino, ma ancora sconosciuto forse a causa di una stella poco luminosa o di una nana bruna celata dalla stessa nube di Oort.
 La recente scoperta di Sedna un pianetino della classe di Plutone ha rimesso tutto in discussione.

Sedna, un po' più piccolo di Plutone, ha un'orbita anomala relativamente a quelle dei corpi celesti che orbitano intorno al nostro Sole. Su questo aspetto fino ad oggi si sono formulate molte ipotesi, le più accreditate al momento sono due. La prima, nata da uno studio compiuto da Hal Levison e Alessandro Morbidelli dell' Osservatorio della Costa Azzurra di Nizza , è che Sedna si sarebbe formato attorno ad una nana bruna circa 20 volte meno massiccia del Sole, e sarebbe stato catturato dall'attrazione gravitazionale del nostro astro quando la nana bruna ha attraversato il sistema solare. Un'altra invece ipotizza che il nostro Sole ha una compagna che insieme formerebbero un sistema binario di astri che ruoterebbero intorno ad un unico centro, come del resto se ne incontrano moltissimi nello spazio. Questa ipotesi della sorella del Sole battezzata Nemesi è vecchia quasi da quando abbiamo abbandonato il sistema Tolemaico a favore di quello Copernicano. A rilanciare l'idea del doppio sole sono stati recentemente i proff. Richard Muller dell'Università di Berkeley e Daniel Whitmire dell'università della Luisiana. “ L'orbita di Sedna è inusuale: perché è molto ellittica e possiede un angolo elevato rispetto all'eclittica, cioè l'orbita su cui ruota la maggior parte dei pianeti del nostro sistema solare” - Ha spiegato Muller. –“ La possibile spiegazione è che il pianetino sia influenzato dalla presenza di una stella compagna del Sole ” Muller continua: -“ Abbiamo studiato Sedna in modo approfondito. E pensiamo che la sua orbita ellittica sia causata non tanto da un passaggio lontano nel tempo di una stella, bensì di un astro che oggi è relativamente vicino al Sole” -
Se quest'ultima tesi fosse confermata allora dovremmo rivedere profondamente tutte le nostre conoscenze scientifiche legate al nostro sistema solare. Ma quale sia questa compagna del Sole è un mistero. Potrebbe essere una stella ormai spenta, difficilissima da individuare, oppure una stella ancora viva ma con un'orbita molto complessa capace di sfuggire ad ogni osservazione astronomica.
 La scienza e la tecnologia che da qualche decennio procedono con grandi passi forse in futuro ci aiuteranno a svelare questo nuovo mistero. E se poi scoprissimo definitivamente che il nostro sistema solare è binario, che oltre al Sole abbiamo un' altra stella vicino a noi con tutta la sua coorte di pianeti e satelliti? Allora dovremmo credere anche alle tavolette sumeriche, al disco del Sole Azteco, al calendario Maya, al kalyuga indiano, al terzo segreto di Fatima e a tante altre predizioni che parlano, guarda caso di tre giorni di completa oscurità, della luna rossa sangue e del mare che diventerà terra e la terra mare. Insomma se fosse così dovremmo cominciare a preoccuparci. Se le vecchie predizioni fossero giuste allora dovremmo prepararci a vedere questa nostra umanità, la quinta secondo i maya e gli aztechi, finire. A quel punto non ci resterebbe che sperare che la nuova umanità che dovesse sorgere dalle nostre ceneri, possa essere migliore. Una umanità senza più sentimenti di odio e di morte, non più legata a valori vacui e materiali, ma aperta ad una nuova dimensione, quella proiettata verso la conoscenza, quella vera. Ciò farebbe dell'uomo un abitante illuminato del cosmo e non più un piccolo cattivo e sporco omuncolo di un piccolo mondo azzurro confuso tra miliardi di altri pianeti vivi dell'Universo.

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9 maggio 2018 3 09 /05 /maggio /2018 22:53

La Nasa ridefinisce le caratteristiche dei pianeti esterni al Sistema Solare che potrebbero ospitare la vita. Lo fa con un modello in 3D, pubblicato sull’Astrophysical Journal, nel quale sono indicati i parametri in base ai quali i mondi alieni potrebbero essere abitabili. E’ il risultato della ricerca coordinata dall’Istituto Goddard della Nasa (GISS) e dall’Istituto di tecnologia di Tokyo.

Il modello 3D
“Utilizzando un modello che simula più realisticamente le condizioni atmosferiche, abbiamo scoperto un nuovo processo che controlla l’abitabilità degli esopianeti e ci guiderà nell’individuazione dei pianeti candidati per ulteriori studi”, ha detto Yuka Fujii, dell’Istituto Goddard. Al momento il modello comprende solo i pianeti quasi completamente occupati da oceani in quanto l’acqua è necessaria per la vita come la conosciamo, quindi la superficie di un mondo alieno è considerata potenzialmente abitabile se la sua temperatura consente all’acqua liquida di essere presente per un tempo sufficientemente lungo a consentire alla vita di prosperare.

 

Quando un esopianeta è troppo lontano dalla sua stella, la sua superficie sarà troppo fredda e gli oceani si ghiacceranno. Se, al contrario, il pianeta è troppo vicino il calore sulla sua superficie sarà troppo intenso e i suoi oceani evaporeranno. I modelli precedenti simulavano condizioni atmosferiche solamente in una dimensione, quella verticale. Il nuovo studio invece utilizza un modello in 3D, permettendo ai ricercatori di simulare la circolazione dell’atmosfera e le sue caratteristiche. Il nuovo lavoro aiuterà gli astronomi a simulare in modo più realistico le condizioni atmosferiche di un pianeta e a individuare quelli potenzialmente abitabili.

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16 agosto 2014 6 16 /08 /agosto /2014 21:28

 

Radiotelescopio per amatori Spider 230. Credit: Filippo Bradaschia, PrimaLuceLab

Radiotelescopio per amatori Spider 230. Credit: Filippo Bradaschia, PrimaLuceLab

 

 

 

 

Per chi vorrebbe ripercorrere le orme di Penzias e Wilson e andare alla scoperta del cielo in banda radio, è finalmente possibile avere a disposizione un radiotelescopio per astrofili ed appassionati.
 

Spider 230 è un'invenzione tutta italiana: è stato infatti ideato da Filippo Bradaschia e Omar Cauz, appassionati di radioastronomia, e viene interamente prodotto nel nostro Bel Paese dall'azienda italiana PrimaLuceLab che ha sede a Pordenone.

La particolarità di questo strumento è soprattutto l'accessibilità e la praticità: di fatto, mentre per i telescopi classici che sondano il firmamento nella banda del visibile ci si trova di fronte ad una più che ampia scelta in quanto a tubi ottici, montature ed altre attrezzature annesse di ogni tipo, la radioastronomia amatoriale è quasi del tutto assente per via dei prezzi proibitivi di strumenti così delicati.

Schema dello Spider 230. Credit: RadioAstroLab

Schema dello Spider 230. Credit: RadioAstroLab

Spider 230 è un'antenna del diametro contenuto di 230 cm (da cui deriva appunto il nome), dotata di ricevitore (RAL10PL, messo a punto dalla ditta italiana RadioAstroLab) e software (RadioUniverse, sempre sviluppato da PrimaLuceLab) per l'analisi dei dati raccolti. Alla stregua di una ragnatela, la superficie parabolica riflettente dello strumento è costituita da una fitta rete di alluminio che permette di raccogliere le onde radio in maniera ottimale fino ad una frequenza di 12 GHz (la maglia di un radiotelescopio deve essere più fitta di un ottavo della lunghezza d'onda del segnale osservato per poter raccogliere le misure, per evitare che le onde ci passino attraverso e non rimbalzino invece sul piatto per poi finire sul ricevitore): la maglia del paraboloide risulta essere quadrata da 2x2 mm. Inoltre il supporto è forato in modo da sopportare al meglio l'esposizione al vento (che in caso di strumenti “estesi” come questo può incidere parecchio sulla qualità dell'osservazione). Spider 230 può anche essere comandato in remoto, tramite un semplice cavo Ethernet oppure tramite un sistema di antenne che permette (senza che vi siano interferenze con lo strumento) di regolarlo anche a svariate centinaia di metri di distanza. Un'ulteriore comodità è data dal fatto che è possibile utilizzare una montatura standard quale quella che sostiene i classici telescopi ottici, purché questa abbia una capacità di carico di almeno 25 kg.

Confronto fra il radiotelescopio Spider 230 ed un normale tubo ottico. Oltre alla varia strumentazione, è possibile acquistare anche una piccola cupola a protezione della postazione. Credit: PrimaLuceLab

Confronto fra il radiotelescopio Spider 230 ed un normale tubo ottico. Oltre alla varia strumentazione, è possibile acquistare anche una piccola cupola a protezione della postazione. Credit: PrimaLuceLab

In pratica ci troviamo di fronte ad uno strumento molto semplice da montare ed utilizzare nonché molto versatile, e che potrebbe essere un'ottima via d'accesso alla divulgazione ed allo studio nelle scuole del campo della radioastronomia. Oltre ad essere (e non è poco) un'eccellente idea “made in Italy”.

Giulia Murtas

http://www.link2universe.net/2014-07-01/radioastronomia-per-tutti-e-arrivato-spider-230-il-primo-radiotelescopio-per-osservazioni-amatoriali/#more-23774

 

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13 agosto 2014 3 13 /08 /agosto /2014 21:39
Falsi ufo: le strisce luminose
La scintillazione (twinkling o, più tecnicamente, scintillation) delle stelle non ha nessun legame con le lenti gravitazionali.
In questa risposta precedente si spiega molto bene che in realtà l'effetto di "scintillazione" è legato al fatto che la luce deve attraversare l'atmosfera.


La figura qui sopra mostra una stella vista attraverso un telescopio.
Gli effetti ad occhio nudo non possono essere apprezzati se non come una variazione della luminosità della stella.

Poiché la stella è una sorgente puntiforme, i raggi di luce che vengono raccolti da un osservatore fuori dall'atmosfera sono concentrati in una figura di diffrazione che dipende solo dalla lente con cui si osserva, che prende il nome di Disco di Airy, le cui dimensioni sono direttamente proporzionali alla lunghezza d'onda della luce osservata, e inversamente proporzionali al diametro della lente.

In figura si vede l'andamento della luminosità e uno schema del disco di Airy.

La larghezza (angolare) del picco centrale, contenente la maggior parte della luce, è data dalla formula

in cui l'angolo a primo membro è misurato in radianti, e a è il diametro dell'apertura.

In realtà, qualche variazione rispetto al disco di Airy si ha anche nei telescopi fuori atmosfera che dovrebbero vedere solo la figura di diffrazione:

Questa figura mostra, ad esempio, come il telescopio spaziale Hubble vede una figura puntiforme: la presenza di strutture interne al telescopio modifica la figura di diffrazione teorica riflettendo parzialmente la luce che entra nell'apertura.

Per il cristallino del nostro occhio, la dimensione del cerchio di Airy per le lunghezze d'onda visibili è dell'ordine del primo d'arco (come detto dipende dalla lunghezza d'onda che varia da 4000 a 7000 angstrom e dalle dimensioni della pupilla che sono dell'ordine del millimetro).

Osservando a occhio nudo (per cui la lente è il cristallino del nostro occhio) la figura di diffrazione ha dimensione minore degli spostamenti del raggio luminoso provocati dalle variazioni di densità dell'atmosfera terrestre, e dalle conseguenti rifrazioni del raggio di luce, per cui la stella scintilla perché i raggi deviati dall'atmosfera cadono al di fuori del cerchio di Airy osservato un istante prima e quindi si perde l'immagine puntiforme, avvertendo la sensazione di un "movimento" dell'oggetto osservato.

I pianeti invece, essendo più vicini, hanno una dimensione ottica maggiore, non limitata dalla sola diffrazione, sono cioè sorgenti estese.
Pertanto ciascun punto subisce la deviazione, ma complessivamente il fenomeno è molto meno evidente perché predomina la dimensione "reale" della figura.
Se però andiamo ad esaminare un particolare della superficie, o un punto del bordo del pianeta, esso risulta ugualmente tremolante, se può essere, come la stella, considerato una sorgente puntiforme.
Allo stesso modo si può notare una scintillazione anche dei pianeti in caso di atmosfera particolarmente turbolenta o vicino all'orizzonte.

Peraltro oggi con le tecniche ottiche adattive, si ottengono risultati paragonabili a quelli fuori atmosfera, eliminando gli effetti della turbolenza atmosferica.
Con tecnologie molto avanzate si riesce infatti a fare in modo che il telescopio compensi in tempo reale proprio la scintillazione atmosferica, cosa impossibile per il nostro occhio.


A sinistra una stella osservata con il VLT, dal Cile, a destra la stessa stella osservata dal Telescopio Spaziale Hubble.
Le stelle tra l' altro hanno tutte delle caratteristiche:

Tutte le stelle "lampeggiano", o, per usare un termine tecnico, "scintillano".
Questo fenomeno dipende dal fatto che la luce delle stelle prima di raggiungere il tuo occhio deve attraversare una bella porzione di atmosfera. L'atmosfera è formata da tante cellette di aria.
Ogni celletta si muove di moto casuale, salendo o scendendo a causa della convezione termica: si chiama turbolenza atmosferica.

Quando la luce della stella attraversa queste cellette di aria, il percorso dei suoi raggi viene deviato in maniera casuale e questo fa sì che tu veda la stella apparentemente lampeggiare e, talvolta, cambiare colore.
Più la stella è bassa sull'orizzonte o più è luminosa, più intenso è il fenomeno.

Qualcosa di simile accade al calore che sale da sopra un termosifone: se osservi gli oggetti dall'altra parte del termosifone, l'impressione è "tremino". La ragione è proprio la stessa.

La scintillazione non si osserva invece per i pianeti, che hanno un diametro apparente maggiore, visto che sono molto più vicini delle stelle. La maggiore dimensione dei loro dischi riesce a "camuffare" le distorsioni dei raggi.

Se potessi guardare le stelle dalla Luna o dalla base spaziale, nessuna stella lampeggerebbe perchè lassù non avresti atmosfera frapposta.

(Risponde Luca Tancredi Barone)

http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=9437
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20 luglio 2014 7 20 /07 /luglio /2014 21:52

Sin dai tempi di Newton, i concetti di spazio e di tempo erano considerati assoluti ed universali. Nei suoi famosi Principia Mathematicae, Newton riteneva che spazio e tempo fossero due entità distinte. Il tempo ha una sola direzione, procede lungo una linea infinita ed è eterno, esiste da sempre ed esisterà per sempre. Lo spazio, e perciò l’Universo in generale, era stato creato alcune migliaia di anni prima. Queste idee dominarono la fisica del XVII secolo fino ai primi anni del XX secolo quando, nel 1905, Albert Einstein pubblicò in uno dei suoi famosi manoscritti un lavoro che passò alla storia come la Teoria della Relatività Speciale.

Nella concezione di Newton, lo spazio, rappresentato graficamente da una autostrada che si intreccia, ed il tempo, che scorre lungo un binario che procede lungo una direzione all’infinito, sono due entità distinte e separate. Spazio e tempo sono assoluti e universali, per qualsiasi osservatore.

Nella teoria della Relatività Speciale, così chiamata perchè si limita ad analizzare i fenomeni fisici in sistemi di riferimento che si muovono con moto relativo ed uniforme e velocità costante, dove cioè non si hanno accelerazioni, le intuizioni di Einstein sconvolsero ben presto la fisica del XX secolo. I concetti di spazio e di tempo non erano più considerati assoluti ma relativi, cioè dipendenti dal sistema di riferimento in cui si trova l’osservatore. Spazio e tempo diventano più elastici e variano in funzione della velocità con la quale si muove l’osservatore rispetto ad un altro in quiete. Tanto maggiore è la velocità tanto più estremi saranno gli effetti misurati: la dilatazione del tempo e la contrazione delle lunghezze. Nella concezione relativistica, i concetti di spazio e di tempo vengono perciò modificati verso una nuova visione più vicina alla realtà. Lo spazio ed il tempo formano una unica entità, chiamata continuo spazio-tempo, con quattro dimensioni: tre dimensioni spaziali ed una temporale. Se allora lo spazio si incurva anche il tempo si incurva.

Nella concezione di Einstein, lo spazio e il tempo sono interconnessi tra loro. Essi formano un’unica entità a 4 dimensioni. Spazio e tempo non sono più assoluti ma sono relativi al sistema di riferimento dell’osservatore.  

Dieci anni dopo, Einstein generalizzò i concetti della relatività speciale tenendo conto anche degli effetti dovuti alla presenza della forza gravitazionale. Nel 1915 venne pubblicata la Teoria della Relatività Generale dove la gravità viene descritta non più come una forza a distanza che si esercita tra due corpi dotati di grande massa, come del resto pensava lo stesso Newton, ma come dovuta alla deformazione geometrica dello spazio-tempo a causa della presenza di masse. Questa fu la grande e geniale idea di Einstein con la quale si spiegavano le orbite circolari dei pianeti attorno al Sole, la curvatura dei raggi di luce quando essi passano in prossimità del campo gravitazionale del Sole o di qualsiasi altro corpo celeste, fenomeno noto come lente gravitazionale, e l’avanzamento del perielo di Mercurio. 

Lo spazio-tempo quadridimensionale nella relatività generale può essere rappresentato dal cosiddetto “tessuto di Eddington”, una sorta di lenzuolo di gomma, dove la presenza di un corpo dotato di massa (es. il Sole) ne determina la deformazione geometrica in quella regione. Nel caso di un buco-nero, la distorsione dello spazio-tempo diventa estrema e allora si forma una specie di pozzo gravitazionale, circoscritto da una linea di non ritorno, al di la della quale la gravità è talmente intensa che niente può sfuggire, nemmeno la luce.

Dove e quando ha avuto origine lo spazio e il tempo secondo la teoria della Relatività Generale ? Alcune soluzioni particolari della Relatività Generale prevedevano il fatto che il tempo avesse un inizio ed una fine, anche se lo stesso Einstein era convinto che il tempo fosse infinito in entrambe le direzioni passato/futuro. Andando a ritroso nel tempo, cioè verso il passato, si riteneva che lo spazio, tutta la materia, convergesse in un punto a densità infinita, ossia in un punto singolare dove avrebbe avuto inizio il tempo. Secondo l’interpretazione data dagli astrofisici inglesi, Roger Penrose e Stephen Hawking, lo spazio ed il tempo hanno avuto origine nel Big-Bang. Applicando i concetti einsteniani all’Universo nella sua globalità e tornando indietro nel tempo, scopriamo che esiste un momento in cui tutti i raggi luminosi provenienti dalle stelle e dalle galassie piegano per poi convergere in prossimità dell’istante iniziale dove si pensa abbia avuto origine l’Universo. Quindi, costruendo la storia dell’Universo, lo spazio ed il tempo hanno avuto proprio la loro origine nel Big-Bang e se guardiamo alla forma dell’entità spazio-tempo ci accorgiamo che essa assomiglia, in modo ironico, ad una pera. Nell’ipotesi di Penrose-Hawking, l’intero Universo è contenuto in uno spazio il cui confine diventa zero nel punto singolare del Big-Bang. Molti fisici teorici pensavano che il modello matematico della Relatività Generale non era però adatto a descrivere lo spazio-tempo in prossimità della singolarità iniziale.    

Nell’ipotesi di Penrose-Hawking, lo spazio-tempo ha avuto origine nel Big-Bang dove però la Relatività Generale, che è una teoria classica, cessa di essere valida. Ironicamente, guardando a ritroso la storia dell’Universo, ci si accorge che la distribuzione di materia che causa la gravità ad un certo istante piega lo spazio-tempo dandogli la forma di una pera.

Una delle difficoltà della teoria della Relatività Generale è quella di venir meno nel momento in cui ci avviciniamo all’istante iniziale, il Big-Bang. Difatti, la Relatività Generale è una teoria classica e anche se essa rappresenta la migliore descrizione dell’Universo tuttavia cessa di essere valida su scale piccolissime, dell’ordine della lunghezza di Planck, quando il raggio dell’Universo aveva le dimensioni di un milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di centimetro !  Cosa più importante è il fatto che la teoria della Relatività Generale non contempla il principio d’indeterminazione di Heisenberg, che rappresenta il cuore stesso della Meccanica Quantistica, e si applica ad uno spazio-tempo piano e continuo. Ma se noi guardassimo per un istante con una lente d’ingrandimento una piccola parte del nostro tessuto spazio-temporale, cosa vedremmo su scale piccolissime dell’ordine delle dimensioni degli atomi ? In realtà, quello che potremmo osservare sarebbe uno spazio-tempo alquanto irregolare e spigoloso, irto di deformazioni locali che sono lontane da una realtà alla quale siamo abituati. In queste condizioni, la teoria della Relatività Generale non può essere applicata e la gravità stessa non può essere descritta dalle sole leggi che governano il mondo degli atomi. Da qui nasce un contrasto secolare, per così dire, tra la teoria della Relatività Generale e la Meccanica Quantistica proprio perchè manca una teoria completa che possa descrivere, in modo unificato, i fenomeni fisici contemporaneamente del mondo macroscopico e del mondo microscopico.  

La Relatività Generale descrive uno spazio-tempo continuo, liscio senza alcuna irregolarità. Se ci riferiamo a scale piccolissime, dell’ordine delle dimensioni atomiche, ci accorgiamo che esistono una serie di fluttuazioni quantistiche, dovute alla creazione spontanea di coppie particella/antiparticella, che danno allo spazio-tempo una forma alquanto spigolosa e irregolare.

Se da un lato la Relatività Generale non può essere applicata nell’istante singolare del Big-Bang, poichè essa produrrebbe valori infiniti dei parametri fisici quali ad esempio la densità o la temperatura, dall’altro le fluttuazioni quantistiche darebbero luogo a valori infiniti dell’energia prodotta in seguito alla creazione di coppie particella/antiparticella e poichè massa ed energia sono proporzionali (E=mc2) queste sorgenti di energia infinita sarebbero equivalenti a centri di gravità infinita tali da far collassare in una frazione di secondo l’intero Universo. Ma questo non si osserva.  Come si può allora descrivere la fase iniziale dell’Universo, l’origine dello spazio e del tempo ?

La Relatività Generale non può descrivere l’istante di tempo iniziale quando ha avuto origine l’Universo. Il Big-Bang viene considerato perciò un punto singolare poichè la teoria prevede valori infiniti dei parametri fisici. Su scale atomiche, le fluttuazioni quantistiche, che danno la forma spigolosa e irregolare dello spazio-tempo, dovute alla creazione di coppie particella/antiparticella, portano a valori infiniti dell’energia tali da far collassare l’Universo su se stesso.   

Per risolvere le divergenze tra Relatività Generale e Meccanica Quantistica, al fine di descrivere il comportamento della gravità su scale atomiche, venne formulata da parte dei fisici teorici, agli inizi degli anni Settanta, una teoria che prevedeva l’esistenza di super-particelle, per ogni singola particella, le cui proprietà erano tali da eliminare il problema degli infiniti. Questa teoria, chiamata della Supersimmetria, poteva includere la Relatività Generale per descrivere il comportamento della gravità su scale quantistiche. La prima vera teoria della Gravità Quantistica venne infatti formulata nel 1976, chiamata Teoria della Supergravità, che prevedeva l’esistenza di altre 7 dimensioni spaziali, in uno spazio-tempo a 11 dimensioni, per poter descrivere il comportamento dei fenomeni fisici su scale microscopiche includendo anche la gravità. Più tardi, a metà degli anni Ottanta, la seconda rivoluzione della Teoria delle Stringhe, che sostituisce alla natura puntiforme delle particelle elementari della meccanica quantistica il concetto di corde o stringhe, portò alla formulazione della Teoria delle Superstringhe, anche qui in uno spazio-tempo a 10 o 11 dimensioni, come la teoria più completa, forse, per spiegare le fasi iniziali della storia dell’Universo e perciò l’origine dello spazio e del tempo. L’eleganza della Teoria delle Superstringhe è che essa prevede in maniera naturale la gravità. Per evitare allora la singolarità iniziale del Big-Bang si suppone che esista una stringa fondamentale che abbia una lunghezza minima, data dalla lunghezza di Planck, al di sotto della quale non ha senso parlare di dimensioni fisiche. Dal 1985, la teoria delle Superstringhe viene considerata come una sorta di Teoria del Tutto, anche se non è stata completamente verificata, e la teoria della Supergravità come una buona descrizione del mondo fisico a valori più bassi dell’energia.    

La teoria della Supersimmetria, formulata dai fisici teorici, prevede l’esistenza di superparticelle, non ancora osservate, per eliminare il problema degli infiniti e per descrivere il comportamento della forza gravitazionale su scale quantistiche. La prima teoria della Gravità Quantistica venne formulata nel 1976, detta della Supergravità, ma per poter funzionare deve necessariamente agire in uno spazio-tempo a 11 dimensioni. La teoria delle Superstringhe rappresenta oggi la descrizione, forse, più completa per descrivere le fasi iniziali ed evolutive dell’Universo.

Come ha avuto allora origine lo spazio ed il tempo secondo le teorie quantistiche della gravità ? Su scale dell’ordine della lunghezza di Planck non ha più senso parlare di spazio o di tempo perchè le fluttuazioni quantistiche sono tali da creare una sorta di confusione o schiuma quantistica. Spazio e tempo sono perciò mescolati, il tempo è come se svanisse, ed esistono infiniti spazi-tempi. Tra tutte queste possibili geometrie di spazi-tempi, qualcuna evolve, assumendo, per una qualche frazione di secondo, le dimensioni di un atomo per poi collassare nuovamente e solo una, per una ragione a noi sconosciuta, evolverà nel tempo, tramite un Big-Bang, nel quale prendono forma lo spazio, a 3 dimensioni, ed il tempo. Le altre 6 o 7 dimensioni spaziali rimangono, per così dire, arrotolate su se stesse e diventano visibili solo se scendiamo su scale atomiche.

Le fluttuazioni quantistiche danno luogo ad una confusione o schiuma quantistica iniziale dove spazio e tempo sono mescolati e indistinguibili. Dalla schiuma quantistica si evolverà il nostro Universo in uno spazio-tempo a 4 dimensioni. Le altre dimensioni spaziali rimarranno arrotolate su se stesse.

Quale sarà la fine dello spazio e del tempo ? Il destino dell’Universo è legato al contenuto di materia in esso presente. Oggi noi sappiamo che solo il 5% della materia presente nell’Universo è composta da materia visibile, formata cioè da protoni, neutroni, pianeti, stelle, galassie, etc.; che il 30% è materia non visibile, “materia scura”, formata, forse, da particelle esotiche (WIMPs), a cui anche i pianeti gioviani, le stelle nane-brune o i buchi-neri possono contribuire alla composizione; che il 65% della materia è sottoforma di “energia scura”, una sorta di forza antigravitazionale, si parla anche di quintessenza, che permea l’Universo determinando una accelerazione all’espansione e di cui gli astronomi attualmente non sanno ancora dare un spiegazione. 

Come si vede dal diagramma a torta, la percentuale maggiore di materia presente nell’Universo si trova sottoforma di una energia, chiamata “energia-scura”, che permea l’Universo, come se fosse intrappolata in esso, e determina, si pensa,  una accelerazione alla sua espansione.

Quello che attualmente possiamo dire è che se la materia presente nell’Universo sarà tale da determinare un arresto all’espansione, allora potremo assistere, tra qualche decina di miliardi di anni o più, ad un collasso gravitazionale che porterà l’Universo ad un Big-Crunch, una sorta di gigantesca contrazione di tutta la materia in un nuovo punto singolare da cui, secondo alcuni modelli cosmologici, potrà forse avere origine un nuovo Universo da un nuovo Big-Bang.

Il destino dell’Universo è legato alla quantità di materia in esso presente. Nella grafica sono rappresentate due condizioni estreme: la prima, detta Big-Crunch, considera una quantità di materia tale da arrestare l’espansione e determinare un collasso gravitazionale in un punto singolare da cui, forse, avrà origine un nuovo Universo;nel la seconda, detta Big-Chill, la quantità di materia non sarà tale da frenare l’espansione che continuerà per sempre in uno stato di morte termica dell’Universo.

Se invece il contenuto di materia non sarà tale da trattenere l’espansione, allora l’Universo si potrà espandere per sempre. Avremo perciò un spazio-tempo sempre più freddo, un Big-Chill, e sempre più popolato da buchi-neri che saranno il conseguente residuo finale dell’evoluzione stellare e galattica. Questa sarà allora la morte termica che subirà il nostro Universo.

 di Corrado Ruscica
Estratto dalla conferenza tenutasi al Planetario di Milano il 15 Marzo 2005 in occasione dell’Anno Internazionale della Fisica

 

http://www.astronavepegasus.it/pegasus/index.php/scienza-e-conoscenza/732-la-natura-dello-spazio-e-del-tempo#.U8w6VMsripo

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19 luglio 2014 6 19 /07 /luglio /2014 21:54

 

Gran parte degli scienziati ritiene che la ricerca di pianeti potenzialmente abitabili debba concentrarsi su pianeti rocciosi che orbitano in una zona ben precisa attorno alla stella madre. Condizioni, queste, che consentirebbero la presenza di acqua allo stato liquido in superficie. Ma in un provocatorio articolo di commento pubblicato questa settimana sulla rivista Science, il fisico teorico Sara Seager del Massachusetts Institute of Technology sostiene che le condizioni per l'abitabilità potrebbero essere più comuni di quanto generalmente pensato.
Seager, pioniera nello studio delle atmosfere dei pianeti extrasolari, dipinge un quadro diverso dal solito della tipologia di pianeti che potrebbero ospitare la vita. "La premessa di base è che, per essere abitabile, un pianeta debba avere acqua liquida", spiega in un'intervista. "I pianeti con atmosfera sottile vengono riscaldati principalmente dalla propria stella. Ma ciò che più di ogni altra cosa regola la temperatura di superficie sono l'effetto serra, i tipi di gas presenti in atmosfera, e quanto pesante è l'atmosfera. Questo è quello che dobbiamo davvero capire". Con queste coordinate in mente, Seager descrive come l'acqua e la vita potrebbero trovarsi anche su pianeti di grandi dimensioni orbitanti la propria stella madre a distanze dieci volte superiori rispetto alla distanza Terra-Sole se solo, per esempio, le atmosfere di questi pianeti contenessero abbastanza idrogeno gassoso.

L'idrogeno, spiega Seager, crea un effetto serra molto più potente di quello presente nella nostra atmosfera, e potrebbe quindi mantenere al caldo la superficie di un pianeta che riceve poche radiazioni dalla sua stella. Anche pianeti relativamente secchi e più vicini ai propri Soli potrebbero essere abitabili, secondo Seager. Questi pianeti hanno infatti bisogno di meno acqua per creare temperature adatte alla vita sulla loro superficie dal momento che l'umidità atmosferica è il gas serra più efficace di tutti.
Seager ha descritto Venere come un esempio dinamico di instabilità: il pianeta, un tempo ricco d'acqua, è ora inabitabile a causa della troppa umidità che ha dato vita a un effetto serra fuori controllo. Un Venere più secco e più giovane, spiega, sarebbe potuto evolvere in un pianeta piuttosto abitabile. Anche i pianeti che non orbitano attorno a nessuna stella - i tanti pianeti che fluttuano liberamente - potrebbero ospitare la vita, secondo Seager. Avrebbero però bisogno di calore generato dai processi radioattivi o da altri processi all'interno loro nuclei, nonché dei giusti gas per mantenere il calore nell'atmosfera. "Se c'è una lezione importante da imparare dagli esopianeti - scrive Seager su Science - è che tutto è possibile nel rispetto delle leggi della fisica e della chimica".
La ricerca astronomica di pianeti extrasolari in questi ultimi anni è stata uno straordinario successo, e molti pianeti sono stati scoperti in quelle che vengono considerate le "classiche" zone abitabili. Il prossimo passo per i ricercatori è quello di imparare a identificare nelle atmosfere gli elementi e i composti che sono considerati una traccia della possibile presenza di vita. E questa è la specialità di Seager.
Sulla Terra, per esempio, la presenza di grandi quantità di ossigeno atmosferico è un segno sicuro della presenza di vita perché, in mancanza di un rifornimento costante, l'ossigeno legherebbe rapidamente con altri elementi e scomparirebbe. Nelle atmosfere degli esopianeti, altri composti come ozono e metano, specialmente in combinazione con l'ossigeno, possono essere considerati segni di possibile vita extraterrestre. Secondo James Kasting, esperto di esopianeti della Pennsylvania State University, le opinioni di Seager sulle possibili diverse condizioni di abitabilità nei vari pianeti extrasolari sono simili a quelle di altri membri della comunità scientifica. La sfida e le difficoltà maggiori risiedono però nell'enfasi con la quale Seager indica questi pianeti come obiettivi per le future ricerche.
Gli sforzi, da parte della NASA, di lanciare un telescopio orbitante che riesca a rintracciare e analizzare le atmosfere degli esopianeti si sono infatti rivelati di difficile pianificazione - e spesso sono rimasti frustrati. Un precedente progetto di costruzione di uno strumento del genere, il Terrestrial Planet Finder (TPF), è stato abortito a causa dell'esorbitante prezzo previsto: più di 5 mld di $. "Il telescopio che speriamo un giorno verrà costruito deve essere progettato per cercare particolari tipi di pianeti - ha detto Kasting - Molti di noi credono che un telescopio TPF a caccia di pianeti nelle più tradizionali zone abitabili abbia più possibilità di successo rispetto a un telescopio che cerchi esopianeti ricchi di idrogeno o con altre caratteristiche al di là di quelle che oggi compendiamo meglio".
Ma se una missione TPF è ancora un'ipotesi remota, la NASA ha recentemente approvato lo sviluppo di un altro satellite per la ricerca di esopianeti chiamato Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS), il cui lancio è previsto per il 2017. TESS cercherà pianeti extrasolari nei dintorni di 500.000 stelle fredde e piccole (di classe spettrale M) relativamente vicine al nostro sistema solare. Per confronto, il telescopio spaziale Keplero è oggi alla ricerca di esopianeti in una regione contenente 150.000 stelle a centinaia di anni luce di distanza. Da solo TESS non sarà in grado di fornire informazioni significative sulle atmosfere degli espopianeti. Ma potrà farlo in collaborazione con il James Webb Space Telescope - "se siamo fortunati", ha aggiunto Seager. Il lancio del telescopio spaziale James Webb è in programma per il 2018. Seager conclude il suo articolo scrivendo che, nonostante gli ostacoli, "il campo della ricerca e della caratterizzazione di esopianeti è sulla buona strada per capire appieno le condizioni di abitabilità e per trovare mondi abitabili".
Questo non significa necessariamente che la vita extraterrestre esista, o che qualsiasi possibile osservazione futura porterà con sé alcuna nuova certezza, ha detto. Ma almeno stiamo imparando sempre meglio a guardarci intorno.


Marc Kaufman - National Geographic Italia 14.05.13

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10 luglio 2014 4 10 /07 /luglio /2014 20:59

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Un breve impulso spaziale rilevato dal telescopio di Arecibo, a Puerto Rico, sembra provenire da ben oltre la nostra galassia: gli scienziati hanno potuto notare una raffica di onde radio di una frazione di secondo che fornisce nuove importanti prove sulla presenza di impulsi misteriosi che arrivano sulla Terra dallo spazio profondo.

La scoperta, effettuata da un team internazionale di astronomi e pubblicata il 10 luglio sul The Astrophysical Journal, evidenzia un segnale del genere per la prima volta con uno strumento diverso dal radiotelescopio di Parkes in Australia, da dove invece sono stati registrati diversi episodi simili ma la mancanza di risultati analoghi da altre strutture avevano fatto immaginare al fatto che sui segnali radio provenienti dallo Spazio non c’era da fidarsi.

arecibo-ao002-smInvece questo è un risultato importantissimo perché elimina ogni dubbio sull’esistenza di questi impulsi radio, che hanno veramente origine da chissà dove nello Spazio” ha detto Victoria Kaspi, docente di astrofisica presso la McGill University di Montreal e guida del progettoche ha rilevato questa veloce onda radio. “Le onde radio mostrano tutte le caratteristiche di provenire da lontano, fuori dalla nostra galassia. Una prospettiva davvero emozionante“.

Ovviamente adesso è grande l’enigma per gli astrofisici, perché ci sono tanti dubbi sul fatto che queste onde radio provenienti dallo Spazio siano davvero inviati da qualche civiltà aliena oppure se sono semplicemente dei segnali naturali di alcuni eventi astronomici, come potrebbero essere l’evaporazione di buchi neri, le fusioni di stelle di neutroni o altro ancora con campi magnetici molto potenti. “Adesso dobbiamo capire che cosa provoca queste onde radio. Se davvero provengono da fuori la via Lattea, significa che è davvero una cosa estremamente emozionante” ha affermato Jason Hassels, astronomo dell’Università di Amsterdam.

L’impulso rilevato presso l’Osservatorio di Arecibo, il più grande e sensibile radiotelescopio del mondo, è stato rilevato il 2 novembre 2012 ma analizzato soltanto nei giorni scorsi.
La luminosità e la durata di questo evento, e tutti gli altri elementi specifici che lo caratterizzano, sono tutti coerenti con le proprietà degli impulsi precedentemente rilevati dal telescopio di Parkes in Australia” ha detto Laura Spitler, tra gli autori della ricerca.

La caratteristica più importante di queste onde radio, che lascia immaginare che provengano da oltre la via Lattea, è basata sulla misurazione di un effetto particolare noto come “dispersione di plasma”. Gli impulsi che viaggiano attraverso il cosmo, infatti, si distinguono da interferenze artificiali per l’effetto degli elettroni interstellari, che rallentano le onde radio a radiofrequenze inferiori. L’impulso rilevato dal telescopio di Arecibo ha tre volte la misura massima di dispersione che ci si aspetterebbe da una fonte all’interno della galassia, come spiegano gli scienziati.

Joeri van Leeuwen, astronomo dell’Università di Amsterdam, ha parlato di “scoperta fantastica” e adesso tutti gli sforzi del team di studio sono focalizzati alla ricerca di impulsi radiofonici che confermino ulteriormente la provenienza galattica, aspettandosi molte altre scoperte per una migliore comprensione di questo mistero cosmico.

 

http://www.meteoweb.eu/2014/07/clamorosa-scoperta-dallo-spazio-inviati-verso-la-terra-segnali-radio-da-pianeti-lontani/298579/

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