La Fonte dell’Eterna Giovinezza è un mito antichissimo: ne parlava infatti già Erodoto nelle sue Storie, collocando tale luogo magico tra i fertili altipiani dell’Etiopia. Dopo la scoperta delle Americhe si cominciò a credere che la fonte potesse trovarsi in Florida, ma ci sono moltissime leggende in proposito e molti sono stati i luoghi in cui è stata collocata la fonte dell'eterna giovinezza. In base al racconto dello storico greco, le acque della fonte erano letteralmente miracolose, capaci di guarire anche i malati piu’ gravi; da qui la loro incessante ricerca da parte di nobili, sovrani e gente comune provenienti da ogni angolo del globo. L’idea fu ripresa piu’ tardi nel Romanzo di Alessandro dello Pseudo-Callistene (III secolo d.C.), dove il grande condottiero macedone - accompagnato dal suo piu’ fidato servitore - si inoltrava nella Terra delle Tenebre per trovare la fonte miracolosa. Articolata in piu’ leggende unite tra loro da personaggi comuni, l’opera ebbe una straordinaria diffusione nel Medioevo, conoscendo traduzioni in latino, persiano, armeno e russo vernacolare.
Ma fu soprattutto la versione araba, curata dal misterioso saggio Al-Khidr, ad avere piu’ fortuna di tutte: portata in Spagna dalle truppe del califfo Al-Walid (668-715), essa fini’ per venire assorbita anche dalla nobiltà cristiana impegnata piu’ tardi nella Reconquista, alimentando la letteratura cavalleresca dell’epoca. La successiva riscoperta delle fonti greche originali durante il Rinascimento spinse infine molti hidalgos a ritenere veritiero il mito della Fonte, contribuendo alla loro massiccia partecipazione alla conquista delle Americhe nei primi decenni del XVI secolo. Mossi sia dal sogno dell’Eldorado che dalla speranza dell’immortalità, i conquistadores ebbero presto ragione di plurisecolari imperi precolombiani, impadronendosi di immense ricchezze, ma persero poi tutto a favore della corona oppure vennero uccisi in faide interne ai loro gruppi originari. Si puo’ dunque affermare che la colonizzazione americana fu fatale tanto ai vinti che ai vincitori, in un circolo vizioso di brutalità e tradimenti senza fine.
Eppure qualcuno trovo’ forse quello che cercava. Nato nel piccolo villaggio di Santervas de Campos, nei dintorni di Valladolid, Juan Ponce de Leon lascio’ la Spagna per il Nuovo Mondo nel settembre 1493, al seguito della seconda spedizione atlantica di Colombo. Probabilmente membro di una piccola famiglia aristocratica, de Leon si era ritrovato povero e disoccupato dopo la caduta di Granada, ultima atto della Reconquista contro i Mori, e aveva quindi deciso di cercare fortuna nelle floride terre scoperte dal navigatore genovese poco tempo prima: stabilitosi ad Hispaniola (l’attuale Santo Domingo), egli si fece strada gradualmente nella prima burocrazia coloniale dell’area caraibica, guadagnandosi il favore di Nicolas de Ovando, governatore di Hispaniola dal 1502. In particolare, de Leon ebbe un ruolo primario nella lotta contro gli indigeni Tainos, ottenendo come ricompensa una vasta fattoria presso il porto di Boca de Yuma.
Tuttavia il successo politico ed economico non lo soddisfece affatto, spingendolo presto a nuove avventure. Nel 1508 egli esploro’ quindi l’isola di Portorico per conto della corona, ribattezzandola San Giovanni Battista e fondando un modesto insediamento commerciale nella baia di Caparra; sfortunatamente l’impresa falli’ per l’incredibile avidità dei suoi uomini, che invece di mercanteggiare con gli indigeni si lanciarono subito alla disperata ricerca di oro ed argento, provocando una guerra feroce con le tribu’ locali. Nonostante cio’, domata la resistenza dei nativi, de Leon ottenne ufficiamente il governatorato dell’isola nell’agosto 1509, dando vita ad un grosso programma di colonizzazione agricola, ma l’arrivo nei Caraibi dell’ambizioso Diego Colon, figlio di Colombo, lo costrinse nuovamente a far fagotto e a cercare fortuna altrove. Dopo aver perso infatti la posizione di governatore nell’autunno 1511, il vecchio ma indomito soldato parti’ alla volta delle mitiche isole di Benimy (forse le attuali Bahamas) con tre navi e duecento uomini, toccando le coste della Florida il giorno di Pasqua del 1513.
L’esplorazione della misteriosa regione, ricca di foreste ed acquitrini, duro’ poi oltre quattro mesi, segnati dall’incontro con sconosciute popolazioni indigene e strane specie animali (testuggini, leoni marini, puma, alligatori, fenicotteri ecc.) Nella mente di de Leon, impregnata di mitologia antica ed epica cavalleresca, il vasto territorio fini’ dunque per essere identificato con la Terra delle Tenebre affrontata da Alessandro molti secoli prima, e l’ulteriore scoperta di alcune acque termali nei dintorni di Pensacola rafforzo’ definitivamente questa sua convizione. Tornato a Portorico nei primi mesi del 1514, egli cerco’ cosi’ di assicurarsi il monopolio esclusivo della regione, ma gli intrighi dei suoi avversari politici impedirono la realizzazione del progetto, nonostante l’iniziale benevolenza di re Ferdinando II d’Aragona e del cardinale Francisco Jimenez de Cisneros, reggente di Castiglia. Deciso comunque a preservare il segreto della Fonte dell’Eterna Giovinezza, de Leon condusse numerose altre spedizioni in Florida, combattendo le tribu’ locali e tentando di stabilire una colonia di popolamento nella baia di Charlotte, sulla costa occidentale dell’attuale stato americano, ma l’impresa falli’ per la decisa resistenza della popolazione Calusa. Lo stesso ex governatore di Portorico venne ferito gravemente durante uno scontro con i nativi, e dovette essere trasportato a Cuba per ricevere cure adeguate. Ma il colpo si rivelo’ fatale per il vecchio esploratore, che mori’ di febbre all’Avana nel luglio 1521. Ironicamente i suoi successori nella conquista della Florida ignorarono completamente il mito della fonte miracolosa, dedicandosi solo alla ricerca di oro e di schiavi per il proprio tornaconto personale.
L’idea pero’ che de Leon avesse trovato la sorgente magica descritta da Erodoto inizio’ ad influenzare la pubblicistica spagnola dell’epoca, che dedico’ all’argomento diverse opere pseudoscientifiche sino alla fine del XVI secolo. Il primo a menzionare l’incredibile ritrovamento fu infatti lo storico Gonzalo Fernandez de Oviedo nella sua celebre Historia General y Natural de Las Indias, pubblicata per ingraziarsi la corte di Madrid nel 1535; il domenicano Bartolomé de Las Casa critico’ ferocemente l’accuratezza di tale lavoro, ma il volume ebbe comunque notevole presa sul pubblico dei contemporanei, generando ulteriori riferimenti allo straordinario evento nei resoconti enciclopedici di Francisco Lopez de Gomara, Hernando D’Escalante Fontaneda e Antonio de Herrera y Tordesillas. Quest’ultimo rilevo’ come gli indigeni della Florida si curassero spesso e volentieri con le acque termali scoperte da de Leon, ricavandone benefici indiscutibili. La notizia rafforzo’ quindi la credenza nell’antico mito greco, perpetuandolo sino ai giorni nostri: non a caso la figura del vecchio esploratore spagnolo è sovente protagonista di romanzi, racconti e pellicole cinematografiche dedicate alle sue incredibili imprese, mentre persino la città di St.Augustine, fondata dall’ammiraglio Pedro Menendez de Aviles nel 1565, ha creato un parco turistico dedicato alla leggendaria sorgente dell’immortalità. Si racconta che alcuni famosi alchimisti fossero riusciti a rallentare il tempo e tornare alla condizione di Adamo. Uno di questi pare fosse il conte di Saint-German. Uomo di cultura, musicista, pittore e maestro alchimista, pare sia vissuto alla corte di Francia nel Seicento. Di lui si raccontano cose incredibili: che fosse capace di sparire all’improvviso, di apparire nello stesso tempo in luoghi diversi e che potesse vivere in eterno. Sembra infatti che fosse riuscito a scoprire il segreto dell’eterna giovinezza. Ci sono addirittura testimonianze che lo vogliono ancora vivo e aitante alla fine dell’Ottocento cioè oltre duecento anni dalla sua nascita. C’è anche chi dice che sia morto nel 1784 ma il suo corpo non fu mai trovato. La sua tomba venne infatti rinvenuta completamente vuota. La leggenda vuole che ancora oggi, ogni Natale a mezzogiorno, il conte di Saint-German appaia a Roma, seduto su una panchina del Pincio in attesa dei suoi discepoli.