Nelle caverne subacquee dette blue holes vivono batteri che potrebbero somigliare a forme di vita extraterrestri
Batteri finora sconosciuti che si alimentano di composti di zolfo, tossici per gran parte delle forme di vita sulla Terra. Alcuni ricercatori li hanno trovati esplorando i blue holes, le cavità sommerse tipiche delle isole Bahamas, ma potrebbero essere simili a forme di vita forse presenti a milioni di chilometri di distanza, negli oceani che si estendono sotto le calotte di ghiaccio che coprono le lune di altri pianeti, come Europa, satellite di Giove, o Encelado, che orbita intorno a Saturno.
"Quando sento parlare di ecosistemi a base zolfo e di microrganismi che sopravvivono in ambienti estremi, mi si drizzano sempre le orecchie", spiega Kevin Hand, astrobiologo e vicedirettore del programma della NASA per l'esplorazione del Sistema Solare, nonché esploratore emergente di National Geographic. "Solo studiando le forme di vita estreme della Terra possiamo comprendere se esistano ambienti abitabili al di fuori del nostro pianeta".
Cosa sono i "buchi blu"
I blue holes si sono formati durante le antiche glaciazioni, quando le acque degli oceani si erano ritirate e il livello medio era circa 120 metri più basso di adesso. L'azione dell'acqua piovana scavò delle caverne nella roccia calcarea lungo le coste; poi, con il riscaldamento del pianeta e la risalita dei mari, le grotte si riempirono di acqua salata. Il blue hole più profondo - Dean's Hole, nelle Bahamas - si inabissa per 200 metri, ma in media la profondità si aggira intorno ai 100 metri.
Oggi i blue holes sono bui cunicoli dove l'ossigeno è scarso e la luce solare riesce a illuminare solo molto vicino alla superficie. Spesso sull'acqua marina, salata, si deposita uno strato di acqua dolce, più fresca, che quasi mai si mescola con l'altra. Tutto ciò fa sì che i blue holes restino perlopiù isolati dalle forme di vita - e dalle fonti di cibo - che popolano gli altri ecosistemi oceanici.
Guarda la fotogalleria dei blue holes
Eppure queste profondità inospitali riescono a sostentare ricchi ecosistemi, dove prosperano specie di gamberi, acari, copepodi e altri crostacei.
«Il problema è: cosa mangiano queste creature?», si chiede Tom Iliffe, il biologo marino che ha guidato l'ultima spedizione alle Bahamas. «Lì sotto non ci sono piante. Quindi la risposta è: si nutrono di microrganismi. Esistono batteri e altre forme di vita minuscole, e questi al vertice della catena alimentare se ne nutrono».
Assieme a Brett Gonzalez, uno studente di dottorato, Iliffe si è calato in tre blue holes delle Bahamas: Sawmill Cherokee Road Extension e Sanctuary Blue Hole. A intervalli regolari di profondità i due hanno preso nota di temperatura, salinità e acidità dell'acqua, nonché dei livelli di ossigeno e acido solfidrico. Inoltre, hanno raccolto colonie di microbi riportandoli in superficie.
"In uno dei blue holes c'erano 'tappetini' di microrganismi che coprivano completamente le pareti", spiega Iliffe. "Erano spessi un paio di centimetri o più: li si poteva staccare semplicemente, con un dito, e metterli nei contenitori per i campioni".
Prossima fermata: gli oceani di Europa?
Molti dei batteri riportati in superficie da Iliffe e Gonzalez erano ignoti alla scienza. Ma le analisi genetiche condotte assieme a Jenn Macalady della Pennsylvania State University hanno individuato specie riconoscibili di batteri capaci di sopravvivere in condizioni di scarsa illuminazione, e altri che si alimentano esclusivamente di acido solfidrico. Gran parte dei batteri dei blue holes, inoltre, prosperavano vicino all'aloclino, uno strato relativamente sottile in cui l'acqua dolce si mescola con quella salata.
Secondo Hand, è proprio il tipo di ambiente che potrebbe esistere sotto la calotta di ghiaccio che ricopre il satellite Europa. Nelle spaccature sulla sua superficie penetra materiale ricco di zolfo eruttato dai vulcani di Io, un satellite vicino. "Se c'è una cosa che sappiamo", dice lo studioso, "è che alla vita piace insediarsi sui confini, negli interstizi. È lì che la vita trova le energie per alimentarsi".
I ricercatori della NASA hanno proposto diverse missioni per esplorare Europa, con passaggi di navicelle, sonde orbitanti o anche lander in grado di posarsi sul satellite. Ma non è sicuro se la NASA troverà modo di finanziarne almeno una. Hand però è ottimista: "Con un po' di fortuna, faremo partire una di queste missioni intorno al 2020", in modo da comprendere meglio l'oceano che si estende sotto il ghiaccio che ricopre Europa e valutare la possibilità che ospiti forme di vita.
Iliffe, intanto, intende raccogliere campioni di batteri in decine di altri blue holes, confrontarli e studiare le loro strategie di sostentamento in ambienti così estremi.
Una delle piu' stupefacenti e magnifiche creature si nascondono nel mare ,nell'oceano,nei laghi o fiumi.Parliamo dei pesci,grandi e piccoli:parliamo dei pesci che maggiormente colpiscono la nostra conoscenza con,delle immagini strabilianti.
iniziamo con:
Il freddo?Se pensate che in questi giorni l’Italia sia fredda, provate ad andare a Yakutsk, in Siberia, la città più fredda del mondo. Per far chiudere le scuole, la temperatura deve scendere a 50 gradi sotto lo zero. A meno 45 pare che la radio dica: Fa freddo ma non troppo. Chi vive a Yakutsk e sopporta il clima a dir poco non ospitale può però mettere da parte un po’ di soldi, grazie agli stipendi altissimi e alla riserve di gas naturale. La temperatura record l’ha raggiunta due anni fa, quando è scesa a 63 gradi sotto lo zero.
Ma se vogliamo proprio andare a guardare bene dove la temperatura e' incredibilmente bassa,allora,a 1280 km a Nord/est del Polo sud e' situata la base di Vostok a 3.488 m. di altitudine,ben piu' fredda di quella di Amundsen, qui la media invernale si aggira sui -66 gradi centigradi e la temperatura piu' bassa, rilevata il 21 Luglio 1983 e' stata di ben -89,2 gradi centigradi . Ma di recente sembrerebbe che il vero record del freddo, che dovrebbe essere anche il record mondiale, si registro' nel 1997 con -91°C , ma non ci sono dati ufficiali.
Nella top ten del gelo ci sono due città europee, Helsinki (che ha toccato i -32) Varsavia e Minsk. C’è la capitale del Canada, Ottawa. C’è Astana in Kazakistan. Tra gli aneddoti che si raccontano, a Ottawa, ci sono i 73 centimetri di neve in un giorno, del 1947, e la tempesta di ghiaccio del 1998. Astana vorrebbe che fosse suo il primato, ma per ora deve accontentarsi del secondo posto nella lista delle capitali più fredde. Al primo posto c’è quella della Mongolia, Ulan Baator, che ha una media annuale di 1 grado centigrado.La Sakha-Jacuzia (o Sakha o Saha) è una repubblica autonoma della Russia, nella Siberia nord orientale. Metà della superficie si trova al di là del circolo polare artico. Il clima è continentale, con temperature tra -60/-28°C e +2/+19°C. Le precipitazioni medie annuali variano da 200 mm a 700 mm. Questa zona e' considerata la regione piu' fredda della terra dopo l'Antartide ed e' chiamata: "il polo del freddo"
Per quanto riguarda l’Italia, il record è stato toccato il 9 gennaio 2009 nella Busa di Manna, a 2550 metri, altopiano delle Pale di san Martino, quando i termometri fecero registrare un inquietante -43...record infranto da BUSA FRADUSTA CON -48.3 . Il precedente record era del 1929, meno 41, sul Monte Rosa, capanna Regina Margherita.
Per farvi rendere conto di quello che stiamo passando noi,altri nel globo hanno spiegato cosa vuol dire avere problemi legati al freddo e gelo in modo piu'....pesante:
GLI EFFETTI DEL FREDDO SUL CORPO UMANO E SULLE COSE
( Stralcio tratto dal sito: http://www.wideview.it/travel/) avventura al polo del freddo )
Durante questo viaggio ho potuto provare una vasta gamma di temperature diverse, da qualche grado sopra lo zero fino a -54,5. In tutti i casi, queste temperature non sono mai state accompagnate da venti eccedenti il metro al secondo (3-4km orari). Generalmente, le temperature fino a -30 non hanno rappresentato problematiche particolari, a condizione di essere coperto in modo adeguato; e' soltanto attorno ai -35 / -40 che esiste una sorta di soglia, oltre la quale possono viverci per periodi prolungati solo le persone che hanno la resistenza alle basse temperature nel DNA e pochissimi animali. Inoltre, le proprieta' fisiche di molti materiali iniziano a cambiare, creando una vasta gamma di problematiche diverse, per esempio ai mezzi meccanici. Quando sono atterrato a Yakutsk la temperatura era di -40 gradi ed indossavo soltanto 1 strato di lana, 1 maglione, guanti, cappello ed una giacca a vento senza imbottitura. Il tempo di scendere la scaletta del Tupolev per salire sull'autobus nel piazzale dell'aeroporto, e gia' inizio a sentire la formazione di fastidiosi granelli di ghiaccio nel naso, con la sensazione di sentirli anche nella gola e la conseguenza di tossire come se stessi respirando polvere. Allo stesso tempo, l'umidita' presente sulle ciglia inizia a congelare, ostacolando frequentemente l'apertura delle palpebre.
Accumulo di ghiaccio sulle ciglia dopo una prolungata esposizione ad oltre -50 gradi. (Foto di Luciano Napolitano) |
La giacca a vento si congela ed inizia a fare uno strano rumore, come se stessi calpestando delle patatine fritte, ad ogni mio movimento. Sorprendentemente, nonostante la copertura modesta, ho la sensazione del freddo solo sulla pelle scoperta; solo successivamente ho potuto appurare che il freddo si inizia a sentire solo dopo qualche minuto, con la conseguenza di non riuscire piu' a riscaldarsi se non entrando in un locale caldo. Una delle peculiarita' delle temperature cosi' estreme e' proprio quella di provocare la perdita di calore corporeo molto velocemente, rendendo difficile recuperare successivamente il calore perso; per questo motivo e' indispensabile uscire da un luogo riscaldato sempre ben coperti, soprattutto se si prevede di stare all'aria aperta a lungo (si puo' uscire meno coperti solo se si e' certi che entro qualche minuto si avra' sicuramente accesso ad un luogo caldo). Tanto per citare un esempio, indossavo sempre un guanto leggero sopra ad uno molto piu' pesante, che rimuovevo ogni volta che dovevo scattare una foto: alla temperatura di -52, mentre impiegavo appena 20 o 30 secondi per perdere calore dalla mano protetta solo dal guanto leggero, impiegavo almeno 5 minuti per riscaldare la stessa, talvolta indossando nuovamente il guanto piu' pesante e facendo una sorta di ginnastica (movendo ripetutamente le dita), talvolta mettendo la mano sotto l'ascella. E' quindi facile immaginare i problemi seri che si potrebbero avere se si uscisse non protetti adeguatamente e magari ci si perdesse in una foresta senza riuscire a trovare un rifugio riscaldato.
Una migrazione di massa dall’artico ai 48 stati meridionali sta interessando molti appassionati del bird-watching.Migliaia di gufi bianchi come la neve, con un’apertura alare di circa 5 metri, stanno sorvolando da costa a costa, il Montana, sopra i campi da golf del Missouri, svettanti sulle coste del Massachusetts. Gli uccelli vanno via dalle loro zone di riproduzione ogni inverno, ma raramente si avventurano a così grandi distanze, anche nelle migrazioni periodiche. “Quello che stiamo vedendo adesso è incredibile“, ha dichiarato Denver Holt, direttore del Research Institute di Owl Montana. “Questo è l’evento naturale più significativo degli ultimi decenni“, ha aggiunto Holt, che ha studiato i gufi nevosi nel loro ecosistema della tundra artica per due decenni. Holt ed altri esperti di questi esemplari dicono che il fenomeno è probabilmente legato ai lemmi, roditori che rappresentano il 90 per cento della dieta delle civette, durante i mesi di allevamento che si estendono da maggio a settembre. Gli uccelli prevalentemente notturni, sarebbero inoltre preda di una serie di altri animali, come le arvicole e le oche. Quindi una maggiore concorrenza per il cibo in Estremo Nord da parte della popolazione di uccelli in piena espansione, può avere quindi guidato per lo più giovani gufi maschi, molto più a sud del normale. La ricerca sugli animali è scarsa a causa della lontananza e delle condizioni estreme del terreno che i gufi occupano, tra cui Russia settentrionale e Scandinavia. L’ondata di avvistamenti del gufo delle nevi ha portato gli appassionati dal Texas, dall’Arizona e dallo Utah per le Montagne Rocciose del Nord e del Pacifico nord-ovest, favorendo economie locali e l’affollamento di parchi e di aree naturali. L’irruzione ha innescato un diffuso fascino nel pubblico a prescindere da età e interessi. “Negli ultimi due mesi, ogni visitatore chiede se abbiamo visto un gufo delle nevi“, ha dichiarato Frances Tanaka, un volontario per la Nisqually National Wildlife Refuge a nord-est di Olympia, Washington. Ma a volte questi esemplari non se la passano bene: recentemente infatti un esemplare è atterrato in un aeroporto alle Hawaii ed è stato ucciso per evitare collisioni con gli aerei. Il ricercatore afferma che la specie del gufo delle nevi è in generale flessione, probabilmente a causa dei cambiamenti climatici, oltre alla diminuzione di vegetazione. In sostanza nonostante le tante speculazioni, queste continue migrazioni restano un vero e proprio mistero della natura, tanto che Holt afferma di non conoscere la realtà dei fatti.
tratto da:http://www.meteoweb.eu/2012/01/eccezionale-migrazione-di-gufi-dallartico-verso-regioni-piu-meridionali/113727/
Questa piccola cittadina a poco meno di 30 km da Sarajevo è stato un noto insediamento neolitico. Il centro abitato accrebbe nel medioevo, diventando la capitale del regno bosniaco di re Tvrtko I e uno dei principali centri della chiesa bosniaca, a torto associata agli eretici bogomili. Con la costruzione di un castello, sulla sommità della collina prospiciente, e con lo sviluppo del borgo, la cittadella medievale di Visoko visse l’avvicendarsi dei vari regni balcanici e del dominio ottomano.
Grazie a scavi archeologici, oggi gode di grande fama essendo divenuta lo scenario del dibattito tra il team di sei archeologi e di molti volontari che stanno scavando alcune presunte piramidi (per conto della fondazione Bosnian Pyramid of the Sun Foundation) e parte della comunità scientifica ancora scettica circa l’esistenza di tali opere architettoniche in Bosnia, risalenti a migliaia di anni fa.
L' SB RESEARCH GROUP sul loro sito ufficiale hanno steso il rapporto definitivo sulla loro prima esplorazione della nuova sezione dei Tunnel di Ravne nel Dicembre 2010.E noi di Conte Rovescio curiosi,abbiamo riportato questa stupenda ricerca effettuata da Paolo Debertolis, Sara Acconci, Lucia Krasovec Lucas, Valeria Hocza sul nostro blog per condividere queste stupende testimonianze con tutti i nostri lettori e per dare maggiore voce a queste persone che intraprendono queste stupende missioni speleologiche.
I cosiddetti tunnel di Ravne si trovano a circa tre chilometri dalla Piramide del Sole, alla cui base è sorta successivamente l’odierna città di Visoko, ex capitale dell’antico Regno di Bosnia.
Da sempre abbiamo considerato questa struttura, e proprio di struttura stiamo parlando e non solo di semplici tunnel scavati nella roccia, come le griglie del condizionatore che alimentava d’aria pulita, rigenerata e fresca la struttura sotterranea che si trova ad Ovest della Piramide del Sole.
Una struttura interamente costruita in calcestruzzo antico e poi ricoperta di quasi 20 metri di terra, disposta come le spirali presenti all’interno di in una moderna apparecchiatura fatta per rigenerare l’aria, costituita da un complesso sali-scendi di tunnel e creata allo scopo di determinare la disponibilità di un flusso continuo d’aria che anche avvolgesse i monoliti presenti nella struttura stessa.
Questi monoliti, la cui potenza taumaturgica stiamo ancora analizzando (forse stimolatori della produzione di endorfine attraverso complessi campi magnetici o energetici), come un ozonizzatore presente all’interno di un condizionatore, erano un valore aggiunto dal sapore curativo al flusso d’aria che giungeva dall’esterno all’interno della struttura sotterranea.
Sappiamo che ad un certo punto deve essere successo qualcosa e la civiltà che ha costruito i tunnel di Ravne o forse una successiva civiltà che ne faceva uso, probabilmente per difendersi da un pericolo esterno o per confinare un pericolo all’interno, ha deciso di sigillare gli stessi tunnel con della terra per una cospicua lunghezza.
Nel primo caso ipotizzabile di necessità della sigillatura dei tunnel, ossia di pericolo esterno, questa civiltà ha agito più o meno come faremmo noi al sopraggiungere di un tornado. Perché sicuramente bloccheremmo le persiane della nostra casa con delle assi e dei chiodi per evitare che il potente getto d’aria e d’acqua penetri all’interno dell’abitazione facendo sollevare l’intero tetto e distruggendo totalmente l’edificio.
Nel secondo caso, ossia di pericolo interno, e questa è anche la nostra ipotesi, qualcosa è sfuggito di mano o è esito di un conflitto bellico e allora la terra utilizzata per sigillare parte dei tunnel ha evitato la contaminazione del mondo esterno.
Così agirono i costruttori del labirinto di Ravne, che sicuramente pensarono che la terra con la quale furono sigillati i tunnel, al passato pericolo, poteva essere rimossa facilmente, così come era stata posta, ristabilendo la continuità della loro struttura e senza comprometterne gravemente la sua elaborata funzionalità.
Ma qualcosa di imprevisto è successo e la continuità non è stata più ristabilita e sono occorsi tre anni agli operai della Fondazione Bosniaca della Piramide del Sole, che cura gli scavi sin dall’inizio delle scoperte nella Valle di Visoko, per liberare solo in parte questa struttura dalla terra con cui fu riempita migliaia di anni fa.
Infatti, dopo circa 350 metri dall’attuale entrata principale dei tunnel (ne esistono di accessorie), si è giunti finalmente ad una porzione non più chiusa dalla terra da circa una settimana (siamo a Dicembre 2010) e così prima o poi doveva essere, perché ovviamente questa barriera non poteva riempire tutta la struttura per l’intera lunghezza e necessariamente si sarebbe giunti ad una porzione non più sigillata.
Come ho detto prima, questo momento è giunto ed è caduto all’improvviso l’ultimo diaframma.
Il capo operaio e artefice della scoperta, Amir Suša, a cavalcioni del diaframma da poco abbattuto e che ha aperto la sezione desigillata.
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Pertanto queste nuove sezioni dei tunnel appaiono quasi totalmente libere nel loro volume, tranne qualche apparente collassamento nel loro contesto, ovviamente determinato dall’assenza di terra che poteva sostenere le volte.
Quindi paradossalmente i tratti che sono stati sigillati, una volta liberati, sono meglio conservati di quelli liberi, mentre i tratti non sigillati in alcuni punti presentano dei mucchi di terra.
Questa è l’interpretazione più accettata per ora. Ma secondo noi i mucchi di terra non provengono dalle volte che appaiono integre, ma sembrano gettati lì di proposito in un primo tentativo di sigillare i tunnel, ma senza successo perché questi mucchi non hanno raggiunto la volta. Tentativo riuscito più verso l’uscita con la totale sigillatura del lume dei tunnel.
Ma fino ad ora per questi ultimi tratti non si è ancora trovato un vero termine e la lunghezza smisurata sembra promettere altrettanta superficie da esplorare, alla ricerca delle vestigia della Civiltà di Visoko.
Dal punto di vista archeologico questa scoperta risulta estremamente importante poiché permette di analizzare con cura la struttura originaria dei tunnel.
Dopo alcuni brevi incursioni esplorative nei tratti appena scoperti, abbiamo deciso di svolgere una indagine più accurata ed estesa sull’antica struttura nelle gallerie appena scoperte.
Questo articolo è pertanto il diario preliminare di questa ricerca che ci ha decisamente coinvolto e per più versi non è stata scevra da un’elevata dose di pericolosità. Ma il camminare laddove da migliaia di anni nessuno era mai più passato ha avuto per noi il fascino proibito di aprire ed entrare in un Vaso di Pandora.
Già, aprire un Vaso di Pandora, e questa è la frase che sintetizza di più la nostra esperienza. Ma dal Vaso regalato da Giove a Pandora non si sa cosa possa uscire. Forse per noi è come la prima volta che Pandora, contravvenendo alla volontà di Giove, aprì il Vaso facendo uscire tutti i mali dell’Umanità, oppure la seconda volta quando ne uscì la Speranza?
Per il momento non siamo ancora riusciti a capirlo.
La spedizione scientifica multidisciplinare abilitata a questo studio, si è composta in questa occasione di cinque elementi, Amir Suša, capo operaio direttore dei lavori di scavo, la dott.ssa Sara Acconci, archeologa, coordinatrice e responsabile degli scavi per conto della Fondazione Bosniaca della Piramide del Sole, il prof. Paolo Debertolis, antropologo (Università di Trieste), la dott.ssa Valeria Hocza, assistente scientifico, la prof.ssa Lucia Krasovec Lucas (Università di Milano), architetto.
Parte della spedizione scientifica all’esterno dell’entrata del labirinto di Ravne. Da sinistra: il prof. Debertolis, la dott.ssa Hocza, la dott.ssa Acconci.
Secondo gli studi svolti dalla prof.ssa Krasovec Lucas la struttura e la forma dei cunicoli, per come si sono palesati sino ad ora, rimandano alle suggestive architetture di A. Gaudì, specialmente per quanto riguarda le realizzazioni nel sottotetto delle case Batlò e Milà a Barcellona.
L’architettura della struttura può richiamare in qualche modo le teorie del Feng Shui, letteralmente vento e acqua, attraverso l’utilizzo del materiale di costruzione, la dislocazione delle pietre monumentali e l’andamento delle direttrici dei cunicoli.
I tunnels di Ravne finora scoperti sono realizzati utilizzando archi paraboloidi e, al posto di pietra o mattoni, sono costruiti con una miscela di “calcestruzzo” particolare che difficilmente potrebbe venir considerata una “formazione naturale”, anche per la serialità dei cunicoli che vanno chiaramente a formare una specie di rete sotterranea.
Questa rete, nella configurazione resa ipotizzabile da quanto emerge dagli scavi, sembra avere un andamento circolare e seriale, dove la comunicazione tra i tunnels non viene mai interrotta, per cui si potrebbe pensare ad una situazione strutturale a forma di alveare o meglio a quella degli alveoli polmonari. In questo senso, viene spontaneo pensare anche alla Rete di Hartmann dove i muri “a secco” in corrispondenza delle biforcazioni dei cunicoli appaiono, in questa fase di ricerca, simili ai Nodi del reticolo elettromagnetico individuati sui punti di incrocio della griglia di Hartmann.
Ma questo sarà argomento di un prossimo lavoro scientifico svolto direttamente dalla Prof.ssa Krasovec Lucas, chiamata a compilare una nuova mappa strutturale dei tunnel di Ravne.
La bozza della nuova mappa elaborata dalla prof.ssa Krasovec Lucas, in basso a destra è sintetizzata dal disegno della struttura alveolare dei tunnel che va sovrapposto alle porzioni aperte e che fornisce una preziosa chiave di lettura.
La sezione appena aperta rappresenta la via di accesso finalmente libera all’intero sistema alveolare e abbiamo deciso di iniziare ad esplorarla.
Bisogna anche dire che la nuova sezione appena scoperta ha una volta molto bassa e non si riesce a rimanere in piedi; è ripiena d’acqua per un’altezza che va dai 10-20 cm a circa mezzo metro. Per la quasi totalità del percorso bisogna procedere a quattro zampe o con le ginocchia piegate.
Non appare intenzionale la presenza d’acqua, ma sembra causata dalla mancanza di drenaggio determinata dalla terra che ostruisce il fondo della galleria.
L’intenzione futura è quella di rimuovere l’acqua, in modo da poter entrare con l’attrezzatura archeologica per effettuare rilievi di tutta l’area. Parte del lavoro di ricognizione (volto ad ottenere una prima mappatura parziale dei nuovi tunnel) verrà effettuato a febbraio dalla dott.ssa Acconci, con il fondamentale contributo degli speleologi.
Ma in questa occasione ci siamo suddivisi in due gruppi. Uno di supporto, la dott.ssa Hocza e la prof.ssa Krasovec Lucas e un gruppo di vera e propria esplorazione e documentazione fotografica, il sig. Susa, la dott.ssa Acconci ed il prof. Debertolis.
Il gruppo d’esplorazione era dotato di stivali alla pescatora in gomma, peraltro rivelatisi assolutamente insufficienti, casco con lampada, lampade portatili e macchine fotografiche resistenti all’acqua.
Alcuni giorni prima alcuni sommozzatori avevano analizzato parte del percorso per accertarsi che non ci fossero pozzi, ma senza eseguire alcuna documentazione, né procedere ad un’analisi scientifica. La nostra è stata la prima analisi scientifica che ha cercato di svelare parte dei segreti.
Bisogna dire che tutto il percorso è ripieno d’acqua e non ci si trova quasi mai in tratti all’asciutto se non in corrispondenza di piccoli tratti che protrudono dal fondo della galleria, costituiti da terra di riporto. Ma danno un certo sollievo perché ci si ritrova all’asciutto e permettono di riposare un momento. Superarli diventa poi complicato perché richiedono di strisciare giungendo circa a 60 cm dalla volta. Questo ci ha fatto capire che per una simile esplorazione l’attrezzatura più adatta è la muta da sub.
Dall’apertura che dà l’accesso ai tunnel si deve procedere a quattro zampe per riuscire a superare un tratto con una volta molto bassa di circa 120 cm con circa 20 cm d’acqua e alla fine questa finisce con l’essere la posizione, si fa per dire, più comoda per proseguire.
Camminare con le ginocchia piegate in una posizione quasi seduta sui talloni, invece, se è una buona posizione per non bagnarsi, stanca eccessivamente anche solo dopo qualche decina di metri.
All’ingresso del tunnel un muro di pietre di contenimento sulla destra ben strutturato sul quale i sommozzatori avevano segnato con la matita un riferimento per ritrovare l’uscita e che ha fatto ben arrabbiare l’archeologa del nostro team per la contaminazione dell’ambiente chiuso da migliaia d’anni (oltre ad un pacchetto di sigarette vuoto abbandonato nell’acqua poco più avanti). Ma si può quasi scusarli trattandosi di una cavità totalmente al buio e la necessità di un segnale per l’uscita.
Il muretto di contenimento della parete, questa volta cementato, segnato al centro con la matita dai sommozzatori.
Successivamente il tunnel si divide a “Y” e il ramo di destra si suddivide in un’ulteriore “Y” secondo la logica già spiegata della struttura ad alveare.
Il ramo di sinistra (quello che si dirige a sud-est) porta ad un fondo cieco dopo circa una cinquantina di metri (vissuti a carponi), il destro (quello che procede invece verso sud-ovest) porta ad un altro tunnel che appare libero, ma che non abbiamo potuto esplorare nella sua totalità vista la lunghezza e l’altezza dell’acqua ben superiore, ma che ad un certo punto presenta pareti costituite da pietre poste in bell’ordine.
Il ramo a destra è il più ben composto con ampi muri di sostegno alle volte.
Dopo aver cozzato più volte con il casco sulla volta ci siamo resi conto che il conglomerato era molto più fragile di quello delle porzioni sigillate con la terra. Bastava battere solo leggermente il capo sul tetto della volta per procurare piccoli crolli.
L’impressione nelle porzioni le cui pareti apparivano delimitati da muri ben ordinati è che si trattasse ancora di tunnel di servizio, ma questa volta senza limiti di sorta.
Abbiamo osservato alcuni interessanti fenomeni.
Quello che ci ha colpito di più è la presenza di strane nebbie molto concentrate biancastre o bianco-bluastre che si materializzavano a momenti nel tunnel per poi scomparire repentinamente o muovendosi abbastanza repentinamente fino ad allontanarsi, probabilmente mossi da flussi d’aria altrettanto repentini; anche se questa interpretazione appare discutibile in quanto si muovevano anche in senso contrario, cambiando spesso traiettoria.
Una SBI, simile ad un vortice, che ci sembrava osservare all’interno del tunnel di sinistra.
D’altra parte se si fosse trattato di gas rimasto intrappolato nella galleria si sarebbe disperso al nostro passaggio, mentre rimaneva al contrario concentrato muovendosi intorno a noi. Pertanto tale fenomeno rimane per ora inspiegabile.
Ciò a momenti ha reso quasi impossibile l’esecuzione di fotografie perché a volte schermavano il lampo del flash impedendo una corretta esecuzione dell’immagine, in quanto si ponevano tra noi e il soggetto della nostra foto.
Questo tipo di nebbie si sono poi diffuse in maniera modesta anche nel resto dei tunnel già aperti creando buffi fenomeni di materializzazione e smaterializzazione tali perfino da allarmare il gruppo di supporto che non credeva ai propri occhi. D’altra parte questi fenomeni non si sono mai verificati in precedenza nelle altre sezioni del tunnel prima dell’apertura della nuova sezione.
Potrebbe essere utile la visione del video raccolto di uno di questi curiosi fenomeni dal nostro gruppo di supporto :
Ma, sapete, non sempre un fenomeno sconosciuto deve per forza allarmare. La mia preoccupazione, come medico e che non si trattasse di nebbie tossiche frutto di fermentazione di prodotti organici, ma in definitiva non è parsa questa la loro origine. L’acqua sul fondo del tunnel appariva limpida e in nessun caso vi era torbidità, se non dopo il nostro passaggio che smuoveva la sabbia dal fondo.
L’ambiente era praticamente ad entropia zero con l’acqua della stesa temperatura dell’aria e dell’ambiente circostante. La temperatura di questo sistema era circa di 12-14 °C.
Un SBI che viaggia su fondo di una vecchia sezione del tunnel.
Ne abbiamo fotografato uno che è rimasto immobile per quasi un minuto, ma almeno apparentemente, per ora non abbiamo rivelato pericolosità in essi. Con senso del humor tipicamente balcanico abbiamo deciso di chiamarle “SBI” (Šau-Bau Identity).
Un'altra curiosa annotazione che va rilevata dalla nostra esplorazione è la presenza di forti incisioni all’interno di uno strato sabbioso rilevato in corrispondenza della parete del tunnel di sinistra.
Come visibile dalle immagini allegate sembra che con un attrezzo metallico dotato di tre punte siano stati approfonditi dei solchi sullo strato sabbioso di una parete del tunnel di destra costituita più avanti da pietre rotonde. Sembravano come i segni di una mano che fosse stata dotata solo di tre unghie o avesse deciso di usare solo tre dita. Questo perchè la distanza tra i solchi appariva incostante.
Le incisioni, simili a graffi, presenti sulla superficie sabbiosa del tunnel di centro.
In questi frangenti bisogna mantenere i piedi per terra e non si può farsi prendere dalla suggestione.
Rimane comunque il fatto che qualcuno ha inciso in più punti quella superficie, tentando in un punto addirittura di scavarci dentro, come un carcerato incide le pareti della sua cella durante una lunga detenzione.
Ciò dimostra che una presenza c’è stata in quel luogo ed ha voluto, ma chissà quanti anni fa, lasciarci qualcosa. Ma chissà quale tragedia si nasconde dietro quei segni silenziosi. Qualcuno rimasto sigillato all’interno dei tunnel? Per ora non abbiamo trovato i suoi resti.
Al termine di questo elaborato scientifico vorremmo comunicare che abbiamo deciso di formare un nuovo gruppo di ricerca per studiare meglio i fenomeni e le strutture incontrate, costituito da scienziati dalla mente aperta anche se tutti provenienti dall’Università, che collabori costantemente con la Fondazione che porta avanti gli scavi nella Valle Bosniaca delle Piramidi.
Abbiamo deciso di denominarlo “SB Research Group”, dal nome della buffa entità incontrata nella nostra esplorazione e questo è il primo lavoro che pubblichiamo assieme.
Le fotografie tutte prodotte dai diversi membri del gruppo portano per la prima volta il nuovo logo del "SB Research Group", che è stato disegnato esclusivamente per questo progetto di ricerca.
Sembra neve,fiocca dal cielo,si associa alla galaverna:come si distingue la neve chimica,dunque?Come si forma?
A dare vita a questo fenomeno, sono delle sostanze prodotte dall'inquinamento industriale come il solfuro di rame, l'ossido di rame, gli ioduri di mercurio, di piombo o di cadmio e i silicati. Queste particelle hanno una struttura simile a quella dei cristalli di ghiaccio esagonali e quindi funzionano bene da inneschi dei fiocchi di neve.Potrei chiamarla una neve sporca,l'unica eccezione che,rispetto alla neve classica a cui siamo gia' abituati,questa cessa di cadere quando gli agenti inquinanti,finiscono.Ma non e' certamente una buona notizia questa,dato che se questa neve fa la sua comparsa,a conviverci siamo noi,dalla Pianura Padana ad altre citta' che sono limitrofe.
La neve chimica è diversa dalla galaverna, perché con essa,avviene il deposito immediato di cristalli di ghiaccio su superfici più fredde, che poi vanno ad aggregare le goccioline presenti nella nebbia. Il caso della neve chimica è equiparabile alla neve vera e propria, in quanto cadono fiocchi come in una vera nevicata, ma l'anomalia è legata al fatto che tutto ciò avviene col cielo sereno, in presenza di non così rare condizioni anticicloniche rigide invernali.Queste nevicate così speciali, possono anche assumere carattere intenso, tanto che in qualche caso si sono persino avuti depositi fino a 15-20 centimetri al suolo.
Io stesso da diversi giorni,da quando mi reco a lavoro in macchina,sono stato testimone di queste nevicate.Possono durare un tempo limitato,come detto prima,dipende dalla sporcizia che abbiamo nell'aria.E anche dovuto al fatto che al nord,e' parecchio tempo che non piove e se al nord non piove,con l'inquinamento delle fabbriche,delle auto e di tutto un sistema che porta a respirare un'aria sporca,un fenomeno simile e' una risposta naturale del nostro ecosistema.
Innanzitutto,cosa e' la galaverna?Pochi ne parlano,pochi sanno cosa sia.
La galaverna e' una superficiale copertura di ghiaccio in forma di aghi, scaglie o superficie continua ghiacciata su oggetti esterni che può prodursi in presenza di nebbia quando la temperatura dell'aria è inferiore a 0 °C.La galaverna richiede piccole dimensioni delle gocce di nebbia, temperatura bassa, ventilazione scarsa o nulla, accrescimento lento e dissipazione veloce del calore latente di fusione. Quando questi parametri cambiano si hanno altre formazioni, come per esempio la calabrosa, che si forma quando le gocce di nebbia sono più grosse e il vento è più forte.
La galaverna si distingue dalla brina perché questa non è coinvolta dal processo di sopraffusione delle gocce d'acqua e si forma per il brinamento del vapore sulle superfici raffreddate a causa della perdita di calore per irraggiamento durante la notte.
I particolari che si distinguono sono come delle piccole spine che,si formano come sopra citato:un fenomeno molto spettacolare.Ciro Chistoni lo defini' come una forte brinata invernale. Il fenomeno avviene con cielo inizialmente limpido e con formazione di brina sugli oggetti. Scendendo la temperatura, l'aria raggiunge il punto di saturazione di vapore acqueo e, per la presenza di nuclei di condensazione, si forma una nebbia bassa. In questa situazione avviene la solidificazione delle goccioline d'acqua nella nebbia con formazioni aghiformi di ghiaccio amorfo o cristallino che si sovrappongono alla brina. Il fenomeno sarebbe più frequente in autunno avanzato e più raramente in inverno, in particolar modo su oggetti compresi tra il suolo e quattro-sei metri d'altezza. Data la confusione allora presente tra fenomeni di brinamento e solidificazione della nebbia, è probabile che lo scienziato si riferisse a quella che oggi è la galaverna in senso proprio.
Fa' molto freddo qui al nord,ve lo posso assicurare.L'effetto che produce e' uguale ad un freezer,dove noi siamo quelli da congelare!!Attualmente,rilevo -5 gradi e,con la galaverna,il panorama assume un contorno fiabesco,difficile da spiegare.Con le foto che ho fatto,spero di avervi reso bene l'idea.
grazie a questo sottomarino speciale,possiamo vedere qualcosa che non e' facile trovare in giro:
Isis è il nome del veicolo controllato a distanza usato per la spedizione che ha esplorato la fossa East Scotia Ridge dove sono state trovate numerose specie mai viste prima.
Altri anemoni trovati dagli scienziati durante la spedizione
Degli anemoni che crescono nei mari più profondi e bui del pianeta. Quelle macchie bianche sullo sfondo sono colonie di granchi-yeti, ammassati gli uni sugli altri
Sorgenti idrotermali che emettono materiale scuro a quasi 400 gradi e riscaldano la zona circostante. Queste conformazioni sono chiamate "black smokers" per via del loro flusso nero e, scaldando la zona adiacente, permettono lo sviluppo della vita in un ambiente che altrimenti non potrebbe ospitarla.
Delle stelle marine predatrici con 7 punte trovate durante la spedizione.
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Granchi yeti ripresi durante la spedizione nelle profondita del mare antartico. Questi animali "coltivano" sul petto delle colonie di batteri