LA SABBIATURA DEI JEANS E’ LETALE PER GLI OPERAI DEL SETTORE TESSILE
Si tratta di una tecnica di sbiancamento del denim che viene effettuata con l’impiego di sostanze tossiche per la salute. Una delle conseguenze più gravi è provocata dall’utilizzo di polvere di biossido di silicio, che può essere facilmente inalata e portare alla comparsa della silicosi, un malattia polmonare che può essere mortale.Che la sabbiatura sia una pratica pericolosa per la salute dei lavoratori è noto da tempo. Eppure, nelle fabbriche tessili della Cina continua ad essere utilizzata. Secondo un recente rapporto, l’impiego di questa tecnica controversa rappresenta la norma in almeno 6 fabbriche di jeans della provincia di Guangdong, dove avviene la metà della produzione di jeans del pianeta.Il nuovo rapporto porta il titolo di “Breathless for blue jeans” ed è stato condotto da parte di Clean Clothes Campaign, War or Want e Hong Kong Liaison Office, e compilato sulla base di interviste rivolte agli operai che producono jeans per conto di marchi come H&M, Levi’s, Lee, Hollister e American Eagle.
LE FABBRICHE IMPIEGANO DI NORMA DUE METODI PER LO SBIANCAMENTO DEI JEANS MANUALE O MECCANICO
Il metodo manuale avviene tramite l’utilizzo da parte degli operai di pistole ad aria compressa, spesso in assenza di adeguata ventilazione. Ciò porta all’esposizione alla polvere di silicio, diretta sui tessuti tramite le pistole, che è causa sia della silicosi che del cancro ai polmoni, cui si accompagnano le ben note conseguenze mortali.Oltre alla pratica della sabbiatura, il rapporto ha rivelato alcuni dettagli sulla violazione dei diritti dei lavoratori, come l’eccessiva durata degli straordinari, ed irregolarità per quanto riguarda la libertà di associazione tra gli operai, i contratti e l’impiego di immigrati nella manodopera, cioè di persone che non hanno altra scelta che mettere a rischio la propria salute per guadagnarsi da vivere. Si tratterebbe della norma per quanto riguarda alcuni dei marchi di jeans più noti al mondo.
IN ITALIA LA CAMPAGNA ABITI PULITI
da tempo lotta affinché le aziende della moda mettano sul mercato jeans che non siano sottoposti alla sabbiatura. E’ esattamente di due anni fa la notizia secondo cui Versace avrebbe annunciato il proprio stop alla sabbiatura dei jeans. Alcuni mesi dopo, Replay aveva lanciato una tecnica sostitutiva alla sabbiatura per sbiancare i jeans, basata sull’impiego di una tecnologia laser che non richiede il ricorso a polvere di silicio e che è stata definita ecologica per via del minore impiego di acqua.E’ necessario mettere completamente al bando la sabbiatura dei jeans per tutelare la salute dei lavoratori. I sostenitori della campagna contro la sabbiatura stanno sollecitando l’Unione Europea e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad agire in proposito. La sospensione dell’impiego della sabbiatura da parte dei singoli marchi non basta. Serve un’azione globale. Siamo davvero disposti a sopportare le gravi malattie e le morti che colpiscono gli operai del settore tessile soltanto in nome del desiderio di indossare un paio di jeans alla moda?
Secondo l’associazione Altroconsumo per produrre un Kg di cotone vengono impiegati 7.000 litri d’acqua, mentre la produzione mondiale del jeans ammonterebbe a 5 miliardi di capi. Prima della filatura il cotone viene trattato con la soda caustica, che permette un migliore fissaggio del colore, spruzzato in seguito: il caratteristico blu dei jeans deriva dall’indaco, che una volta si estraeva dalla pianta indigofera mentre oggi è una tintura completamente artificiale e molto inquinante. Le fasi da percorrere prima che i blu-jeans arrivino sullo scaffale sono numerose: innanzitutto il denim viene tagliato nei vari pezzi che compongono il pantalone, che poi verranno successivamente cuciti insieme. Si applicano le varie etichette e bottoni e si procede alla stiratura al rovescio che prepara il jeans alla fase successiva: il lavaggio. Questo passaggio è quello che definirà le caratteristiche del pantalone finale, ovvero se si tratterà di un denim più scuro o più chiaro, se avrà un effetto “scolorito” o “usato”: un lavaggio in lavatrice con la pietra pomice (detto “stone washing”) darà un aspetto “sbiancato” a causa dello sfregamento con le pietre, mentre per un effetto “usato” in alcune parti del pantalone, che devono apparire più “consumate”, si utilizzano varie tecniche come l’abrasione per mezzo di carta vetrata e spazzola, l’uso del laser o la sabbiatura (“sandblasting”). Quest’ultima è una tecnica che pone i maggiori problemi per la salute dei lavoratori in quanto la silice presente nella sabbia che viene spruzzata sui jeans, viene respirata dagli operai. La silice nei polmoni causa la silicosi, una malattia mortale in quanto non esistono cure. Nel luglio scorso Altroconsumo ha condotto un’inchiesta sulla produzione dei jeans evidenziando proprio il problema della pericolosità sabbiatura, che dal 2005 si stima abbia causato l’ammalarsi di 5.000 operai: il problema è emerso soprattutto in Turchia, che dal 2009 ha reso illegale la sabbiatura ma l’attività si è spostata in altri mercati (secondo l’associazione: Cina, India, Bangladesh, Pakistan e in parte nel Nord Africa). Anche in Italia si producono jeans con il sistema della sabbiatura ed il nostro paese sarebbe considerato “a basso rischio”: tuttavia, secondo Altroconsumo, solo poco più della metà dei brand presi in esame nell’inchiesta ha pubblicamente dichiarato di aver cessato o di voler cessare la sabbiatura. Gli esiti sorprendenti dell’inchiesta sono stati che i brand più economici come H&M, Zara, Jack & Jones, si sono rivelati quelli più responsabili da un punto di vista etico e ambientale, mentre marchi e firme anche molto costosi come Salsa, Diesel, Boss Orange, Wrangler, Lee Jeans, Armani, Cavalli, Versace, Dolce&Gabbana non hanno consentito l’accesso alle fabbriche per verificare le condizioni dei lavoratori e non hanno rilasciato informazioni sui metodi di produzione dei capi (tra i marchi del lusso si distingue Gucci che ha l’intera filiera in Italia con processi responsabili). Risale al 2012, invece, l’inchiesta condotta dall’organizzazione “Abiti puliti”, che ha riscontrato come il business della sabbiatura si sia effettivamente spostato in paesi extra-Ue, come Bangladesh e Cina, che non hanno, a differenza dell’Unione europea, una regolamentazione sulla sabbiatura. Abiti Puliti ha rilevato nel Bangladesh una forte carenza di conoscenza, tra i lavoratori, dei rischi della sabbiatura e la difficoltà delle aziende di perpetuare i controlli necessari. L’inchiesta è stata svolta in 7 fabbriche bengalesi da cui provengono i jeans dei seguenti brand: H&M, Levi’s, C&A, D&G, Esprit, Lee, Zara e Diesel. In tutte le fabbriche l’associazione ha rilevato l’attività della sabbiatura (“svolta di notte, per non dare nell’occhio”), carenze nei dispositivi di sicurezza e, dalle interviste ai lavoratori, anche una certa rarità nelle ispezioni. Questo metodo è dunque ancora ampiamente utilizzato dove i controlli sono più elastici, a danno di lavoratori spesso inconsapevoli degli enormi rischi che stanno correndo. L’impegno delle aziende nell’abolire la sabbiatura è ammirevole ma è evidente come mettere in pratica controlli e regolamentazioni efficienti sia molto più difficile rispetto alla diffusione dei comunicati stampa.
*Marta Albè
>Fonte<
Redatto da Pjmanc: http://ilfattaccio.org