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12 ottobre 2013 6 12 /10 /ottobre /2013 21:53
Hebes Chasma nel mosaico di otto immagini riprese dalla High Resolution Stereo Camera di Mars Express - ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum)

Hebes Chasma nel mosaico di otto immagini riprese dalla High Resolution Stereo Camera di Mars Express – ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum)

Profondo ottomila metri, esteso per più di 300 km in una direzione e 125 nell’altra, la gigantesca vallata Hebes Chasma è una formazione unica su Marte, e porta i segni visibili del periodo più violento della vita del pianeta rosso. Si è formato infatti, probabilmente, durante il primo miliardo di anni di evoluzione di Marte, quando l’intensa attività vulcanica della vicina regione Tharsis (dove si trova l’Olympus Mons, il più grande vulcano del Sistema solare) frantumava la crosta marziana fino a creare questa spettacolare struttura e il sistema di canyon che la circonda.

Già molte volte nell’obiettivo delle sonde marziane, Hebes Chasma è ora il protagonista di un dettagliatissimo mosaico di 8 immagini riprese dagli strumenti della sonda Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

Le immagini rivelano in particolare la presenza di una “mesa”, un altopiano al centro di Hebes Chasma posto più o meno alla stessa altitudine delle pianure che circondano la vallata. Su un lato però questo altopiano è interrotto da uno “scavo” a forma di ferro di cavallo, in cui il materiale roccioso sembra franato verso il fondo della valle. In molti punti si vedono tracce di frane, che fanno pensare che il materiale in tutta la regione sia debole e facilmente eroso. Le immagini di Mars Express hanno permesso anche di creare una ricostruzione in 3D della regione, visibile qui sotto.

 

 

 

 

 

 

 

 Il Mars Reconnaissance Orbiter  è una sonda spaziale polifunzionale della NASA lanciata il 12 agosto 2005. Il suo obiettivo è l'analisi dettagliata del pianeta Marte allo scopo di individuare un potenziale luogo di atterraggio per future missioni sul pianeta. La sonda è progettata anche per fornire alle future missioni un canale trasmissivo a banda larga tra la Terra e Marte. È progettato per eseguire osservazioni di Marte ad altissima risoluzione.

Tanto i dati raccolti da Mars Express quanto quelli della sonda della NASA Mars Reconnaissance Orbiter rivelano la presenza di minerali che possono formarsi solo in presenza di acqua: in qualche momento della sua storia, quindi, il canyon potrebbe aver ospitato un lago.

I principali obiettivo del Mars Reconnaissance Orbiter è la ricerca e l'individuazione di acqua, l'analisi dell'atmosfera e della geologia del pianeta.

Sei strumenti scientifici sono inclusi nella sonda insieme a due strumenti complementari che utilizzeranno dati delle sonda per raccogliere dati scientifici. Tre tecnologie sperimentali sono inserite nella sonda, questa verrà utilizzata quindi anche per verificare il funzionamento di nuove soluzioni tecniche.

 

ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum)

ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum)

 

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10 ottobre 2013 4 10 /10 /ottobre /2013 21:39

Un team internazionale di astronomi ha scoperto un giovane pianeta esotico che non orbita intorno a nessuna stella. Questo pianeta – che ad una prima osservazione sembra del tutto libero di fluttuare nello spazio- è stato battezzato PSO J318.5-22, ha una massa sei volte quella di Giove e si trova soli 80 anni luce dalla Terra. Secondo le prime stime, questo pianeta si sarebbe formato solo 12 milioni di anni fa; è un pianeta praticamente neonato.PSO J318.5-22 è, invece, uno degli oggetti che fluttuano liberamente e che ha la massa più piccola fino ad ora nota. Ma il suo aspetto più singolare è il colore e la produzione di energia. ” I pianeti trovati dall’imaging diretta sono incredibilmente difficili da studiare, dal momento che sono proprio accanto alla loro stella che è molto più brillante e ne rende difficile l’individuazione. Visto che PSO J318.5 -22 non è in orbita intorno a nessuna stella, sarà molto più facile studiarlo.

 

Il Nouvelle Observateur ci parla della scoperta di un pianeta solitario che svolazza indisturbato nell’Universo.

pianeta-solitario (2)

LA PRIMA VOLTA DI UN PIANETA SOLITARIO - L’esoplaneta gassosso si trova a soli 80 anni luce dalla Terra, quindi a 756.800.000.000.000 di chilometri. La sua massa è sei volte quella di Giove ed è nato da “soli” 12 milioni di anni. Si tratta di un pianeta appena nato che rappresenta una novità anche perché, come spiega Michael Liu, dell’istituto di astronomia dell’Università delle Hawaii a Manoa, principale autore della scoperta, è la prima volta che è stato rinvenuto un pianeta privo della sua stella che veleggia indisturbato nello spazio. Può essere che il pianeta possieda la massa più bassa mai misurata su un oggetto fluttuante ma allo stesso tempo le sue caratteristiche in termini di massa, colore ed energia emessa, corrispondono a quelli dei pianeti in orbita.UN’OCCASIONE UNICA - Nel corso dell’ultimo decennio le scoperte di esoplaneti si sono moltiplicate con un milioni di segnalazioni figlie di metodi indiretti come l’ombra prodotta sulla stella di riferimento. Sono invece pochi i pianeti osservati direttamente perché la maggior parte di loro ruotano intorno a stelle appena nate di “soli” 200 milioni di anni e quindi molto brillanti. Secondo Niall Deacon dell’istituto per l’astronomia tedesco Max Planck e co-autore di questa ricerca, l’esoplaneta in questione fornirà un’occasione unica per verificare come cresce un pianeta gassoso come Giove. Ma quello che hanno trovato è qualcosa di sensibilmente diverso da una nana bruna: gli spettri infrarossi intercettati con l’Infrared Telescope Facility della NASA e il telescopio Gemini Nord hanno confermato che ha una massa più piccola ed è molto più giovane delle nane brune a noi note. Non solo. PSO J318.5 – 22 ha un colore rosso più acceso di quanto ci si aspetterebbe anche dalla più fredda nana bruna. “Ci descrivono spesso la ricerca di oggetti celesti rari come le nane brune come la ricerca di un ago in un pagliaio. Così abbiamo deciso di cercare all’interno del più grande pagliaio che esiste in astronomia, l’insieme di dati raccolti da PS1″, ha precisato Eugene Magnier dell’Istituto di Astronomia dell’Università delle Hawaii e co-autore dello studio .(Photocredit Ifa Hawaii)

 

 

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19 settembre 2013 4 19 /09 /settembre /2013 22:05

 

Ciao a tutti gli amici del blog, approfitto dell’ultimo oggetto ripreso per mostrarvene altri catturati nelle settimane passate: in ordine cronologico troviamo NGC6781, una nebulosa planetaria di magnitudine 11,4 visibile nella costellazione dell’Aquila:

 

 

 

 

seguita da M74, galassia a spirale compresa nei confini della costellazione dei Pesci di magnitudine 8,4 circa. Segnata dall’incrocio delle due linee, è visibile la supernova scoperta il 25 Luglio 2013:
Le tre foto seguenti sono state scattate con un obiettivo tradizionale con la fotocamera solidale al telescopio, che a sua volta compiva il movimento necessario per compensare la rotazione della Terra: in questo modo è stato possibile eseguire scatti della durata di 5 minuti avendo stelle immobili. Enorme è stata la sorpresa visionando le immagini ottenute dall’elaborazione:


 

 

 

Nella seconda di esse è visibile uno stupendo triangolo estivo dove è abbastanza facile individuare le tre stelle che lo formano: Vega (appartenente alla Lira), Deneb (della costellazione del Cigno) e Altair (facente parte dell’Acquila). Inoltre nella foto è presente un oggetto ritratto in precedenza, la cosiddetta Gruccia (ammasso di Brocchi). Non voglio rovinarvi la ricerca quindi… aguzzate la vista e provate! :-)
Relativamente facile è scorgere il Delfino, piccola ma simpatica costellazione visibile nella foto circa a metà strada fra Altair ed il bordo sinistro della foto.

È leggermente più difficoltoso trovare il Cigno, perso in mezzo alle altre centinaia di milioni di stelle:

 

 

 

La foto seguente mostra la galassia visibile più vicina a noi, Andromeda a circa 2,5 mln di anni luce di distanza, incastonata in un nugolo di stelle indescrivibile (appartenenti alla nostra via Lattea) e sapere che in quel piccolo batuffolo ovattato all’apparenza immobile agiscono forze incredibili (come d’altronde nella nostra amata Galassia che ci “ospita”) fa nascere un senso di rispetto nei suoi confronti ma più in generale verso la natura:




 

 

L’ultimo scatto è stato ripreso qualche giorno fa con la strumentazione dell’osservatorio di Monteromano: rappresenta una galassia a spirale (nominato NGC6946 di magnitudine 8,9) dalla buona dimensione apparente poiché l’oggetto si trova ad “appena” 10 mln di anni luce da noi.
 

Dimenticavo una foto della stella più luminosa che ci accompagna nel periodo estivo, realizzata da Alfredo al fuoco del Newton, Vega:




Grazie ad Enrico, Alfredo e Mirko per il prezioso supporto e lo “sprono” fornito in occasione di queste serate.
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14 settembre 2013 6 14 /09 /settembre /2013 22:43

Le peculiari caratteristiche della meccanica quantistica consentono di generare nello spazio effetti chimici altrimenti impossibili sulla Terra. In questo senso possiamo ben dire che lo spazio interstellare è un vero e proprio laboratorio quantistico per manipolare molecole organiche. Ma come avviene la produzione e la distruzione delle molecole? Dal momento che le temperature molto basse condizionano in negativo l’energia disponibile, si pensava che i processi chimici avvenissero con frequenze abbastanza basse.

Un nuovo studio, pubblicato su Nature Chermistry, dimostra che questa non è affatto una regola. Alcuni esperimenti condotti in laboratorio hanno, infatti, dimostrato che il radicale metossile ha un tasso di produzione 50 volte maggiore di quello che si registra a temperatura ambiente. A cosa è dovuta questa eccezionale prestazione? Al quantum tunnelling, naturalmente. L’effetto tunnel consente ad una particella di superare senza l’intervento di una causa esterna una barriera di potenziale anche se non ha l’energia sufficiente per farlo – cosa fantascientifica per la meccanica classica, pena la violazione della legge di conservazione dell’energia.

Benché le regole che governano i processi chimici nello spazio non siano affatto chiare, gli studiosi confidavano in una certezza: la chimica classica decreta senza riserve l’impossibilità della formazione e la distruzione di molecole di alcool nello spazio interstellare. Se consideriamo come non determinante l’unico fattore che potrebbe deporre in favore di queste reazioni, ossia i granelli di polveri che fanno da supporto fisico alle stesse reazioni e che permettono per questo che i diversi reagenti restino in contatto, le difficoltà sono numerose. Solo per citare quella più macroscopica, le condizioni di freddo quasi assoluto, con temperature che arrivano a -210 gradi Celsius, risultano proibitive per la maggior parte delle reazioni.
Il Giornale Online
Lo scenario sembra cambiare già grazie ad alcune scoperte dell’anno scorso. Gli scienziati hanno individuato una molecola reattiva – il radicale metossile (CH3O-), un gruppo funzionale presente tipicamente negli alcool – la cui formazione non può essere spiegata solo con l’aiuto fornito dalle polveri. Inoltre, in passato, alcune sperimentazioni effettuate in laboratorio hanno mostrato che questi radicali non vengono prodotti quando un’intensa radiazione colpisce una miscela ghiacciata contenente metanolo, l’alcool più semplice (CH3OH), costituito da un gruppo metossile legato a un atomo di idrogeno, che è la molecola organica più abbondante nello spazio.

Come spiegare la presenza di questo elemento nello spazio? Ecco che interviene la meccanica quantistica e, in particolare, una delle sue peculiarità: la non assolutezza del limite imposto dal superamento dell’energia di attivazione della reazione. “Le reazioni chimiche diventano sempre più lente via via che la temperatura diminuisce: c’è sempre meno energia disponibile per superare la cosiddetta ‘barriera di attivazione’ della reazione”, ha spiegato Dwayne Heard, che ha coordinato il gruppo di ricerca. “La meccanica quantistica spiega che il sistema può ‘attraversare’ questa barriera per effetto tunnel”.

Come raccogliere evidenze in favore di questa ipotesi? In laboratorio sono state ricreate le condizioni che caratterizzano lo spazio profondo in modo da verificare, ad una temperatura di -210 gradi Celsius, le reazioni tra il metanolo e un agente chimico ossidante, il radicale ossidrile (OH). Gli scienziati hanno così scoperto che le due molecole reagiscono eccome, producendo radicali e che la velocità di reazione è, incredibilmente, 50 volte maggiore che a temperatura ambiente. Il motivo? Con ogni probabilità, nel primo stadio della reazione si forma un prodotto intermedio che sopravvive solo per il tempo strettamente necessario al verificarsi dell’effetto tunnel.

Se i risultati fossero confermati, cosa ne deriverebbe? Una radicale revisione dei tassi di formazione e di distruzione delle molecole complesse nello spazio, visto che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, risultano molto sottostimati rispetto alle proiezioni su larga scala del “caso metossile”.

Fonte:

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12 settembre 2013 4 12 /09 /settembre /2013 22:04

Uno spettacolo stellare ci attende da novembre a gennaio: la scia di Ison, una delle comete più luminose che si sia mai avvicinata alla Terra. E proprio a Natale passerà nel punto più vicino al nostro pianeta, precisamente a 60 milioni di km. Il perielio, punto più vicino al Sole, si avrà il 28 novembre 2013, e la stella potrà disintegrarsi a causa delle forti interazioni. Se però sopravviverà, la rivedremo ancora per tutto il primo mese del 2014.ISON è stata scoperta il 21 settembre 2012 da due astronomi russi dell’International Scientific Optical Network (ISON) in Russia, Vitali Nevski e Artyom Novichonok, quando si trovava tra le orbite di Giove e Saturno. “Questa osservazione ci dà una buona immagine di una parte della composizione di ISON e dell’estensione del disco protoplanetario da cui si sono formati i pianeti“, ha detto Lisse.

cometa Ison Ison, a Natale arriva la cometa più luminosa dellanno

 

Al momento, infatti, le osservazioni non confermano le migliori previsioni sulla sua visibilità. ''La magnitudine in questi giorni è 12, quindi è molto, molto bassa - spiega Marco Galliani, astrofisico dell'Inaf, a Ign, testata on line del Gruppo Adnkronos -. Quello che ci aspettiamo è che nei prossimi mesi la sua visibilità vada aumentando. A ottobre si sposterà verso la costellazione della Vergine e sarà molto bello il suo passaggio, il 18 novembre, vicino alla stella Spica, la più brillante della costellazione. In quel periodo ci aspettiamo che possa essere già visibile a occhio nudo, comunque, al peggio con un piccolo binocolo''. ''Quello che più ci preoccupa è il passaggio vicino al Sole, previsto per il 28 novembre in cui la cometa passerà a circa 1 milione e 800mila chilometri dal Sole. Sarà un momento molto delicato - dice Galliani - perché c'è il rischio che questo passaggio così ravvicinato crei problemi alla struttura del nucleo della cometa e che, nel caso peggiore, si possa disintegrare: la cometa potrebbe così non riuscire a sorpassare il Sole''.

 

 

Al momento, la cometa ''si trova vicino a Marte e con un buon telescopio si può trovare la mattina all'alba verso Est''. Per l'osservazione a occhio nudo dovremo aspettare qualche giorno prima di Natale. ''Noi ci aspettiamo che tutto vada per il meglio e che quindi poi il periodo più bello per osservarla sia dopo il suo passaggio ravvicinato al Sole, quindi nel periodo di dicembre. Nella prima metà del mese sarà visibile all'alba in direzione Est, sempre bassa sull'orizzonte, e dovrebbe cominciare a mostrare la sua bella coda. Passando le settimane si alzerà sempre più sull'orizzonte e potrà essere visibile anche la sera nella seconda metà di dicembre, subito dopo il tramonto, ma questa volta verso Nordovest'', prosegue lo scienziato. Così ''da fine dicembre a tutta la metà di gennaio continuerà ad alzarsi la sera sull'orizzonte fino a lambire la Stella Polare, per cui sarà anche facile da osservare nel cielo, sperando che la sua luminosità sia secondo le nostre aspettative''.

 

 

Il problema è che ''contrariamente a quanto ci si aspettava - prosegue l'esperto - la cometa si sta mostrando un po' pigra: sembra poco luminosa rispetto alle previsioni fatte con le simulazioni. Potremo capire meglio osservandola nelle prossime settimane: potrebbe restare al di sotto delle aspettative o aumentare in maniera improvvisa la sua luminosità''. ''Nelle previsioni iniziali si sperava che la cometa potesse essere brillante quanto la luna piena e che nei giorni successivi al suo passaggio al perielio la sua coda fosse visibile anche di giorno. Alla luce delle osservazioni attuali sembra difficile, però non abbiamo certezza sia dell'ipotesi più positiva che di quella negativa'', continua Galliani.

 

 

Così la ''cometa del secolo'' (come era stata battezzata alla luce delle migliori aspettative sulla sua visibilità) ancora non svela le sue 'carte'. ''La speranza è che si riscatti nelle prossime settimane'' e si mostri al suo meglio. Il ''punto critico'' sarà alla fine di novembre quando sarà vicino al Sole. Allora sarà possibile fare un aggiornamento delle previsioni e stimare la sua visibilità a occhio nudo.

 

 

Spettacolo a parte, per la comunità scientifica la cometa è comunque oggetto di studio. Osservazioni sono state fatte attraverso il telescopio spaziale Hubble e altri strumenti puntati per ''capirne i segreti'. Considerato che questi oggetti ''provenendo dai confini del sistema solare possono raccontarci tante informazioni anche sul passato del nostro sistema solare. Non ultima la possibilità che possano portare i cosiddetti mattoni della vita, delle catene anche elementari di amminoacidi che possono aver raggiunto nel passato la Terra'', spiega Galliani.

 

 

Ma cosa sono questi corpi celesti? ''Le comete vengono considerate grosse palle di neve sporca, in realtà sono dei grossi blocchi composti essenzialmente da ghiaccio d'acqua, monossido di carbonio poi, un po' meno, anidride carbonica, metano, ammoniaca mescolati a grani di polveri e rocce'', spiega Galliani. Quanto alle dimensioni del nucleo, per ''la parte più solida siamo intorno a qualche chilometro fino a quelle più grandi misurate nell'ordine di qualche decina di chilometri, anche 50''. Poi ci sono la ''chioma e la coda che si sviluppano quando le comete si avvicinano al Sole. E' il Sole che le 'accende': il calore della nostra stella fa sublimare, cioè fa passare dallo stato solido a quello gassoso gli strati esterni della cometa e quindi anche le polveri che vi sono mischiate''. Quindi ''evaporando diventano molto più brillanti e si crea questa coda che si estende anche per centinaia di migliaia di chilometri, addirittura milioni di chilometri e che, se le posizioni lo consentono, si può osservare anche dalla Terra''.

La cometa Ison in avvicinamento al Sole (simulazione Inaf)

 

La 'nostra' Ison, racconta l'astrofisico, ''è stata scoperta il 21 settembre 2012 da due astronomi russi. Il nome completo è C 2012 ISON S1. Ison deriva dall'acronimo di International Scientific Optical Network, cioè il nome del telescopio dal quale è stata osservata la prima volta''.

 

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2 settembre 2013 1 02 /09 /settembre /2013 21:46

Mosaico della superficie di Io, creato dalle immagini ottenute dalla sonda Galileo, che ha orbitato intorno a Giove e le sue lune dal 1995 al 2003. Credit: NASA/JPL


Di tutti i posti del Sistema Solare, il mondo più attivo, più dinamico e più incredibile dal punto di vista geologico è sicuramente Io! Si tratta della più interna delle lune galileane di Giove. Con un diametro di 3.642 metri, è la quarta più grande luna del Sistema Solare (poco più grande della nostra Luna). La sua superficie è coperta con oltre 240 regioni attive vulcanicamente e grandi laghi di roccia fusa ricca di zolfo. Le eruzioni vulcaniche sono all'ordine del giorno, ma una recente ha catturata gli occhi dell'astronomo Dr. Imke de Pater, professore di Astronomia e Scienze Planetarie e della Terra presso l'Università della California, Berkeley. La ricercatrice stava usando il telescopio Keck II, in cima al Mauna Kea, alle Hawaii, quando il 15 Agosto 2013, ha visto succedere qualcosa di grandissime proporzioni su Io!
 
"Quando sei al telescopio e vedi i dati, questo è qualcosa che non ti può proprio sfuggire, specie se si tratta di un'eruzione così grande" ha spiegato de Pater durante un'intervista, aggiungendo che si trata sicuramente di un'eruzione che finisce nella Top 10 delle più potenti eruzioni mai viste su Io. "E' stata estremamente energetica ed ha coperto un'area di 30 km quadri. Sarebbe grandissima anche per i standard terrestri, ma per Io è monumentale!

 

"Avevamo visto una grande eruzione nel 2001, nella regione chiamata Surt, famosa per essere la più vasta del Sistema Solare" ha spiegato la ricercatrice. Per questa nuova eruzione, l'energia totale rilasciata sembra essere un po' minore per metro quadro, ma come dimensioni è più grande rispetto a quella del 2001."

 

Immagine ad alta risoluzione della regione vulcanica Surt, su Io, vista qui dalla sonda Galileo. Credit: NASA/JPL

Le eruzioni su Io sono così potenti che possono essere viste anche dalla Terra, ma le camere infrarosse montate sul Keck II (che riescono ad osservare a lunghezze d'onda tra 1 e 5 micron), offrono una quantità molto maggiori di dettagli, rendendo visibili anche fontane di lava che fuoriescono dalla regione Rarog Patera di Io (in cui si trova anche la Surt)

Anche se tante altre regioni di Io sono vulcanicamente attive, de Pater spiega che non è stata in grado di trovare nessuna precedente attività nel caso della regione Rarog Patera e questo ci offre la possibilità di analizzare come iniziano i processi vulcanici su questo bizzarro mondo.

Ashley Davies del JPL, NASA, ha spiegato che in alcuni dati della sonda Galileo, e forse da alcuni dati terrestri, c'è un segno molto pallido di un livello minimo di attività nella regione, ma di sicuro niente di comparabile con l'eruzione avvenuta il 15 Agosto.

Immagine di Io e Giove visti dalla sonda New Horizons durante il suo passaggio ravvicinato al gigante gassoso sulla strada verso Plutone. Credit: NASA/Johns Hopkins University/Goddard

Gli astronomi terranno sicuramente gli occhi su Io e tanti altri osservati sparsi per il globo si aggiungeranno alla caccia di nuovi dati che ci permettano di capire meglio come funziona geologicamente Io. "Non riusciamo mai a prevedere nulla riguardo a queste eruzioni, possono durare ore, giorni, mesi o anni, quindi non abbiamo idea di quanto tempo resterà una regione attiva, ma siamo molto eccitati a riguardo." ha spiegato de Pater.

Per adesso non sono state pubblicate immagini della nuova eruzione, dato che il team sta ancora facendo osservazioni e raccogliendo dati e probabilmente le vedremmo nella pubblicazione che uscirà a fine raccolta.
Ma il Keck II non sarà l'unico occhio potentissimo rivolto verso Io! Poche settimane fa, il Giappone ha lanciato un telescopio spaziale chiamato Sprint-A che osserverà Io nella lunghezza d'onda dell'estremo ultravioletto, rilevando così la pioggia di particelle intorno alla luna, che insieme ai gas rilasciati crea un gigantesco anello intorno a Giove. Se tutto va secondo i piani, Sprint-A ci offrirà anche uno sguardo su come le eruzioni cambiano questo anello e come cambia l'interazione con la magnetosfera di Giove, e le sue mostruose aurore!

http://www.universetoday.com/104317/major-volcanic-eruption-seen-on-jupiters-moon-io/

http://www.newscientist.com/article/dn24081-huge-lava-fountains-seen-gushing-from-jupiter-moon.html#.UhpCXhvOkxE

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18 agosto 2013 7 18 /08 /agosto /2013 20:50

Encelado visto negli anelli di Saturno mostra una variabilità nell'intensità dei suoi geyser in punti diversi dell'orbita intorno a Saturno. Credit: NASA/JPL/Caltech/SSI


Encelado, piccola luna di Saturno, è famosa per i suoi giganteschi geyser ricchi di ghiaccio d'acqua, composti organici e minerali. Ma qual è l'origine di questi geyser e cosa regole la loro intensità? Qualche indizio in più arriva ora dalla sonda Cassini, che ha scoperto che l'intensità dei getti varia significativamente in base alla prossimità della luna al pianeta. Questi dati sono a sostegno dell'ipotesi che sotto la crosta giace un gigantesco oceano liquido. Questa è la prima volta che le variazioni di simili getti vengono predette con esattezza. Le nuove scoperte sono state pubblicate sul giornale scientifico "Nature".
 
"I getti di Encelado apparentemente funzionano come gli ugelli regolabili degli spruzzatori da giardino" ha spiegato Matt Hedman, autore principale della ricerca e membro del team Cassini presso l'Università di Cornell. "Gli ugelli sono quasi chiusi quando Encelado è vicino a Saturno e quasi del tutto aperti quando è nel punto più lontano. Pensiamo che questo ha a che fare con il modo in cui Saturno agisce gravitazionalmente sulla struttura della luna."

 

"Il modo in cui i geyser reagiscono così prontamente al cambio di stress sulla struttura di Encelado, suggerisce che la loro origine è in un grande corpo d'acqua sotterraneo." ha spiegato Christophe Sotin, co-autore della ricerca e membro del team Cassini presso il JPL. "L'acqua liquida fu fondamentale per lo sviluppo della vita sulla Terra, quindi queste scoperte sono molto intriganti per la ricerca di forme di vista altrove, e l'idea che ovunque ci sia acqua liquida ci sia vita."

Per anni gli scienziati hanno ipotizzato che l'intensità dei getti variasse nel tempo, ma nessuno fu in grado di mostrare che cambiavano secondo uno schema prevedibile e riconoscibile. Hedman ed i suoi colleghi sono riusciti a trovare i cambiamenti esaminando i dati infrarossi del pennacchio per intero, ottenuti dalle ottiche visive ed infrarossi dello spettrometro VIMS di Cassini, e guardando ai dati ottenuti lungo un periodo vasto di tempo.

 

Immagine di Encelado che eclissa il Sole mettendo in bella vista i giganteschi geyser al suo polo sud. Credit: NASA/Cassini

Differenza tra Encelado visto nel momento più vicino e più lontano della sua orbita intorno a Saturno. Credit: NASA/JPL

Lo strumento VIMS (costruito dall'Agenzia Spaziale Italiana), permette analisi lungo un vasto gamma di lunghezze d'onda e permette di trovare tracce, per esempio, della composizione degli idrocarburi presenti sulla superficie di un'altra luna di Saturno: Titano. Un'altra cosa incredibile che riesce a fare è rilevare segni sismologici delle vibrazioni degli anelli di Saturno. Ma parlando di Encelado, questo strumento incredibile ha scattato oltre 200 immagini dei suoi pennacchi tra il 2005 (anno in cui fu scoperta l'attività della luna) ed il 2012.

Questi dati mostrano che il pennacchio preso in considerazione arrivava al minimo dell'attività ogni volta che si trovava nel punto più vicino a Saturno nella sua orbita. Poi gradualmente tornava più attivo raggiungendo il massimo nella posizione più lontana rispetto a Saturno (da 3 a 4 volte più intenso rispetto al punto minimo).

Aggiungendo i nuovi dati ai precedenti modelli su come Saturno schiaccia Encelado, gli scienziati hanno osservato come la gravità del pianeta schiaccia la luna in modo da aprire le zone al polo sud chiamate "Tiger Stripes", dove si trovano i geyser.

Fessura presente al polo sud di Encelado. Questa in particolare è chiamata Damascus Sulcus. Sopra in alto c'è una parte della fessura che viene mostrata anche in base alla mappa termica rilevata. Le temperature qui sono intorno a -100°C, ma arrivano anche a picchi di -83°C. L'immagine sopra è una delle immagini con la risoluzione più alta ottenute fino ad ora. Credit: NASA/JPL/GSFC/SWRI/SSI

Questa scoperta è stata possibile grazie alla permanenza della sonda intorno a Saturno per così tanti anni. Le missioni a lunga durata sono più costose e difficili ma ci sono scoperte possibili soltanto con grandi quantità di dati ottenuti nell'arco di molti anni, per poter vedere come cambiano le cose con il passare di stagioni e orbite.
"Abbiamo imparato moltissimo di Saturno e le sue lune da quando Galileo osservo per la prima volta le sue "orecchie" con il telescopio. Speriamo di poter imparare ancor di più in futuro riguardo a questo microcosmo che ci può dire molto anche su come si è formato il nostro sistema solare."

http://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?release=2013-237

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13 agosto 2013 2 13 /08 /agosto /2013 22:09

La scoperta non è di poco conto, tanto che Nature le riserva addirittura l'onore della prima pagina sul numero dello scorso 25 luglio. Il meccanismo scoperto, infatti, potrebbe spiegare come mai le galassie massicce che si osservano siano così poche. Ma andiamo con ordine.

La Galassia dello Scultore  (nota tra gli astronomi come NGC 253 e talvolta chiamata familiarmente Silver Coin Galaxy per la sua forma che la fa assomigliare a una moneta vista quasi di taglio) è una delle galassie più brillanti della volta celeste, escluse ovviamente quelle che appartengono a quella cerchia di sistemi stellari più prossima alla Via Lattea nota come Gruppo Locale. Distante circa 11,5 milioni di anni luce, la Galassia dello Scultore è soprattutto nota agli astronomi perchè sede di intensa produzione stellare (starburst, in termini tecnici) e per questo tenuta costantemente sotto controllo. Non è dunque un caso che il team di Alberto Bolatto, astrofisico uruguaiano in forza all’Università del Maryland, abbia puntato verso quella galassia le potenti antenne di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) in caccia di nuove e dettagliate informazioni sulle regioni di intensa formazione stellare che la caratterizzano.

La qualità delle osservazioni ha permesso di scoprire la presenza di dense e fredde colonne di gas in allontanamento dalle zone centrali della galassia. “Per la prima volta - ha commentato Bolatto - abbiamo potuto osservare con chiarezza massicce concentrazioni di gas mentre vengono soffiate via dalla violenta espansione dei gusci di pressione innescati dalle giovani stelle”. Lo studio, pubblicato su Nature, è di particolare importanza perchè la valutazione delle quantità di gas coinvolte in questi super-venti stellari (circa dieci masse solari all'anno, ma potrebbero essere anche molte di più) fornirebbe la prova convincente che alcune galassie interessate da intensa produzione stellare si priverebbero in tal modo della materia prima indispensabile alla formazione di nuove generazioni di stelle. La galassia, insomma, finirebbe col mettere a repentaglio il suo stesso futuro. Mantenendo l'attuale ritmo di espulsione, infatti, si valuta che la Galassia dello Scultore possa restare senza risorse nel volgere di 60 milioni di anni, un tempo incredibilmente breve nella vita evolutiva di una galassia.

L'eccezionale ricchezza di dettagli consentita da ALMA - utilizzato ancora in una configurazione con 16 antenne, dunque solo un quarto della configurazione completa - ha permesso ai ricercatori di determinare che quelle grandi quantità di gas vengono espulse dalla galassia a velocità comprese tra 150 mila e quasi un milione di chilometri orari. Velocità senza dubbio estremamente elevate, che però potrebbero anche non bastare ad allontanare definitivamente il gas dalla galassia. Se così fosse, dopo molti milioni di anni, quel materiale intrappolato nell’alone che circonda la galassia potrebbe alla fine ricadere sul disco permettendo l'innesco di nuovi episodi di formazione stellare. In tal caso, il ruolo di quei super-venti sarebbe quello di diluire nel tempo la formazione di nuove stelle.

Ciò che è stato scoperto nella Galassia dello Scultore potrebbe aiutare a rispondere a una domanda chiave dell'astronomia contemporanea: quali sono i meccanismi che regolano la formazione stellare nelle galassie? Comprendere tali meccanismi permetterebbe di chiarire le modalita con cui le galassie evolvono. A quanto pare, i risultati appena pubblicati sono già in grado di offrire un indizio importante. Secondo alcune simulazioni al computer, infatti, le galassie più antiche dovrebbero avere molta più massa e molte più stelle di quanto noi realmente osserviamo. Ora, scoprire che una forsennata produzione stellare può impoverire di materiale una galassia e impedire successive generazioni di stelle potrebbe offrire una convincente spiegazione del fatto che, nelle loro osservazioni, gli astronomi si siano imbattuti in poche galassie di massa elevata.

Chiarimenti decisivi sono attesi quando si potrà impiegare ALMA nella sua configurazione completa. Solo allora, probabilmente, si potrà determinare qual è il vero destino del gas soffiato via dai venti stellari e stabilire se quel super-vento è il tassello di un gigantesco, complesso e lento riciclo di materiali oppure è un insormontabile ostacolo per le nuove generazioni di stelle.

 

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6 agosto 2013 2 06 /08 /agosto /2013 20:19

Osservando il Sole durante un eclisse, specialmente in corrispondenza del minimo di attività, si osservano ai poli solari delle strutture fatte a pennacchio, che per prime hanno suggerito l’esistenza di un campo magnetico generale del Sole (Schuster 1891). L’origine del campo magnetico non è chiara, anche se si pensa che sia originato dall’interazione della rotazione differenziale con i moti del materiale della zona convettiva.

I raggi polariI raggi coronali polari in fase di minimo indicano una struttura del campo magnetico bipolare, come quello di una calamita, ma durante l’evolversi del ciclo, l’interazione fra campo magnetico e il materiale, che ricordiamo è ionizzato quindi elettricamente carico e in grado di interagire con il campo magnetico, produce una distorsione del campo che tende ad avvolgersi attorno al Sole, trasformando il campo poloidale (cioè con una struttura in cui si individuano i due poli) in un campo toroidale (cioè che si avvolge attorno al Sole). Tale trasformazione porta ad una intensificazione del campo, ma anche ad un suo lento degrado, di modo ché al nuovo minimo, dopo circa 11 anni, si ristabilisce una struttura poloidale, solo che questo nuovo campo ha le polarità invertite rispetto al ciclo precedente, per questo il ciclo dell’attività solare, di cui il campo magnetico è il motore, si considera della durata complessiva di ventidue anni.

L’inversione della polarità denuncia una delle caratteristiche principali del campo magnetico solare che, a differenza di quello terrestre, non può permeare tutta la struttura solare, altrimenti per invertire la polarità si richiederebbero almeno diecimila anni, mentre l’inversione ogni undici anni indica che il campo magnetico solare deve essere una struttura superficiale.

Nel 1905 Hale fu in grado di osservare l’effetto (noto come Effetto Zeeman) di un intenso campo magnetico sulle righe emesse all’interno delle macchie solari, mentre fallirono, per deficienza della strumentazione usata, le ricerche di un campo magnetico generale, che invece verrà rilevato negli anni cinquanta (H.D. e H.W. Babcock 1952).  

     

Cambiamento della struttura del campo magnetico solare durante il ciclo da minimo a minimo

In un recente articolo sul sito della NASA” lo scienziato Jonathan Cirtain del progetto NASA per una missione solare giapponese nota come Hinode ha dichiarato che c’è uno squilibrio tra il nord e il polo sud.”Il nord è attualmente e’ in fase di transizione,anticipando quella del polo sud e non abbiamo mai capito perchè.”
Inoltre,il modo asimmetrico dell’inversione del campo magnetico solare potrebbe avere un effetto sulla Terra,con conseguente aumento dei brillamenti solari e le raffiche di accompagnamento di particelle radioattive denominate “espulsioni di massa coronale”, o CME, che possono colpire la Terra e portare a brillanti aurore boreali e tempeste solari geomagnetiche,secondo la NASA scienziati.Nat Gopalswamy,uno scienziato solare della NASA Goddard Space Flight Center in Greenbelt,nel Maryland,ha dichiarato  in un messaggio di posta elettronica che”Questo di solito porta ad un doppio picco della quantità delle macchie solari “.
Gopalswamy e il suo team hanno studiato il campo magnetico del Sole analizzando le tracce a microonde ottenute dai radiotelescopi giapponesi e riportando i loro risultati in un articolo sulla rivista Astrophysical Journal del 9 aprile 2012.Gopalswamy ha spiegato che mentre lo spostamento dei poli magnetici del Sole e’ stato scoperto nel 1955,si presuppone che i due poli non saranno corrispondenti fino l’ultimo numero di cicli solari.Il campo magnetico del Sole non si limita solo a variazioni,ma piuttosto tende a diminuire sostanzialmente per poi ricrescere ogni 11 anni.
“Se il polo nord del Sole avra’ polarità Sud,influira’ sul punto di ingresso dei raggi cosmici galattici nella eliosfera “,ha dichiarato Gopalswamy.
L’eliosfera è un’enorme bolla magnetica costituita dall’espulsione continua di particelle cariche dal sole,estendendosi oltre Plutone.Circa ogni 11 anni il campo magnetico dal sole inverte completamente i poli. È come se una barra magnetica lentamente perde il suo campo magnetico spostandosi nella direzione opposta, in modo che il lato positivo diventa il lato negativo. 

” Sembra che abbiamo tre o quattro mesi per assistere al completamento dell’inversione del campo magnetico solare. Questa variazione provocherà un effetto a catena su tutto il sistema solare”. A specificarlo è l’esperto Todd Hoeksema, della Stanford University in America. Questo avverrebbe proprio in procinto della massima attività solare e di conseguenza potrebbe relegare intense eruzioni e tempeste elettromagnetiche di una certa entità.

campomagneticosolareMa gli scienziati dicono che non c’è motivo di preoccupazione per gli esseri umani e che le varie polarità si invertono con dei cicli ogni tot numero di anni e quindi il Sole continua a seguire il suo normale andamento naturale. Un altro ciclo solare si aprirà successivamente. Al momento, secondo gli ultimi dati ricevuti inoltre, il Polo Nord sta mandando evidenti segnali del fenomeno piuttosto imminente, mentre il Polo Sud ancora non ne mostra moltissimi, più che altro avvisaglie. 

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1 agosto 2013 4 01 /08 /agosto /2013 22:24
La Cina: un paese tanto grande, quanto incredibilmente protagonista di eventi celesti che interessano la sua Terra: se in passato e fortunatamente non in questi anni, era stato interessato da una meteora che possiamo mettere nel libro dei guinness,in questo agosto 2013 è nuovamente interessato da eventi celesti. Dovete sapere che poco tempo fa, è stato

trovato un meteorite di almeno Venticinque tonnellate di ferro precipitate dallo spazio sulla Terra,  precisamente ad Altay, nella regione autonoma dello Xinjiang, situata nel nord-ovest della Cina.

Nella zona si è recato un team di esperti che sta eseguendo una serie di test sul meteorite caduto il 17 luglio scorso. Il meteorite, 2,2 metri di lunghezza per 1,25 di altezza, dal peso di almeno 25 tonnellate, è destinato a diventare il più grande mai precipitato in Cina.

Secndo Zhang Baolin, del  Beijing Planetarium, massimo esperto di meteoriti,  il masso potrebbe pesare anche 30 tonnellate, facendolo balzare al primo posto della classifica dei più grandi meteoriti mai caduti sul suolo cinese.

Intorno alle 2:00 (ora locale), un meteorite delle dimensioni ancora imprecisate si è schiantato al suolo in una discarica di un villaggio della Cina nord-occidentale. L’impatto ha causato un cratere di circa 3 metri di diametro e due metri di profondità. Attualmente le autorità locali stanno cercando i frammenti del corpo roccioso, che secondo alcune fonti avrebbe provocato dei feriti. Non è chiaro se il meteorite fosse di origine sporadica o provenisse da uno sciame organizzato. In questo periodo la Terra sta attraversando un flusso di detriti della cometa 96P/Machholz, fonte della pioggia di meteore delle Delta Aquaridi, che hanno raggiunto il picco massimo tra le giornate del 29 e del 30 Luglio.Il meteorite che ha scosso il villaggio della Cina nord-orientale alle 2:00 ora locale, non ha causato vittime. Secondo quanto riportato dalle autorità cinesi, il corpo roccioso in entrata a grande velocità nell’atmosfera terrestre ha provocato un forte boom sonico con conseguenti danni ai vetri delle abitazioni. L’oggetto ha causato un cratere largo circa 3 metri e profondo due, nel quale si cerca qualche frammento per sottoporlo alle analisi del caso. Ogni anno si stima che il numero di rocce che cadono sulla Terra delle dimensioni di una palla da baseball o più, si aggiri sulle 500. Di queste ne vengono mediamente recuperate solo 5 o 6; gran parte delle rimanenti cadono negli oceani o comunque in zone in cui il terreno rende difficile un loro recupero. In questo caso, fortunatamente, l’evento ha causato solo qualche lieve ferito dovuto ai vetri in frantumi e tanta paura, ma nulla di più.
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